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Maurizio Ambrosini
Università di Milano, direttore della rivista Mondi migranti
Un’«agenda» anche per l’immigrazione
È arrivato il momento delle nuove elezioni politiche. L’immigrazione da tempo, e non solo in Italia, è diventata un tema di primo piano nei programmi e nelle campagne elettorali: anche troppo, se pensiamo allo sfruttamento del binomio immigrazione-sicurezza nelle elezioni del 2008.
Ci permettiamo allora anche noi di fornire qualche spunto per l’agenda del nuovo governo, in aggiunta a quelli già suggeriti più di un anno fa - in questa rubrica - in occasione del varo del governo Monti: cittadinanza per chi vive e ha studiato in Italia; incoraggiamento dei ricongiungimenti familiari; intesa con le comunità islamiche; reintroduzione dell’istituto dello sponsor per i nuovi ingressi, con alcune correzioni.
La prima proposta riguarda necessariamente una nuova legge sulla cittadinanza: quella del 1992 è anacronistica, guarda indietro, all’emigrazione italiana nel mondo, penalizzando i residenti che desiderano diventare italiani con dieci anni di attesa, più altri quattro circa per l’esame dell’istanza. Al termine arriva una risposta discrezionale, spesso negativa. Basti pensare che ancora nel 2010 i naturalizzati per matrimonio sono stati più numerosi di quelli per residenza. Cinque anni dovrebbero bastare, come negli Stati Uniti, in Francia, nel Regno Unito. Sarebbe anche interessante introdurre incentivi, in termini di accorciamento dei tempi, per chi si impegna nel volontariato o nel migliorare la sua preparazione.
Nel caso dei minori, come il presidente Napolitano ha ribadito anche nel suo discorso di Capodanno, è più che mai maturo il tempo di far corrispondere la cittadinanza politica alla loro socializzazione educativa e culturale in Italia.
Bisogna però evitare di scavare distanze troppo ampie tra i cittadini, anche naturalizzati, e gli stranieri da tempo residenti. In caso contrario, fra l’altro, fioccherebbero le istanze di cittadinanza per ragioni pratiche, strumentali, anziché per convinzione. Serve allora il diritto di voto locale per chi risiede in Italia da alcuni anni. Oggi, di fatto, il voto è impedito persino agli immigrati comunitari, in barba alle norme europee. Serve la possibilità di partecipare ai concorsi per la pubblica amministrazione, limitando l’esclusione degli stranieri a pochi ambiti circoscritti. Serve un riconoscimento più rapido e agevole dei titoli di studio.
Su tutto, un augurio. Il clima politico intorno all’immigrazione nell’ultimo anno si è svelenito. Vorremmo auspicare che di questi argomenti il nuovo parlamento possa discutere in modo sereno, pragmatico, documentato, senza fare degli immigrati gli ostaggi di guerre ideologiche d’altri tempi.


© FCSF – Popoli, 1 febbraio 2013