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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Un Dio ignoto
«Di lui stirpe noi siamo» (leggi Atti 17,16-34)

Appena scarcerati, Paolo e Sila devono andarsene da Filippi. Arrivati a Tessalonica, dopo tre settimane devono fuggire nottetempo a Berea, dove evangelizzano con successo. Anche da qui, inseguito da nemici fanatici, Paolo deve scappare, scortato dai fratelli fino ad Atene, dove resta solo. Le persecuzioni non solo scandiscono il tempo necessario per fondare una comunità; sono addirittura il motore che trasporta qua e là l’Evangelo. Combustibile è il fuoco che brucia nel cuore dell’apostolo.

Non a caso a Paolo fu detto: «Io-Sono Gesù, che tu perseguiti». Queste parole sono per lui tutta la rivelazione su Dio e sull’uomo. Il Crocifisso risorto è lo stesso che lui perseguita nei suoi discepoli. Il Figlio dell’uomo, condannato a morte come bestemmiatore, è «il Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). Egli, fatto servo di tutti, si identifica con ogni figlio d’uomo maledetto e perseguitato. Ora anche Paolo è diventato come il suo Signore.

Atene, anche se ridotta a piccola città di 5mila cittadini liberi, dal punto di vista culturale è ancora il centro del mondo. Paolo discute con i giudei nella sinagoga e, imitando i filosofi greci, parla alla gente in piazza. Con il suo discorso all’Areopago, il Vangelo entra in dialogo con la filosofia greca. La scarsità di risultati significa che è una via sbagliata o solo difficile? Certamente bisogna «farsi tutto a tutti» (1Cor 9,22). È quanto fece Paolo e fecero tanti altri, come i gesuiti  Roberto de Nobili in India e Matteo Ricci in Cina.

Il dialogo non svende, ma migliora il messaggio. Nel confronto con la cultura greca, Paolo scopre che c’è sapienza e sapienza. Con lui il Logos greco trova la sua distinzione fondamentale: c’è il logos della croce, parola di amore, dono, perdono e vita, e il logos dei potenti, parola di egoismo, possesso, violenza e morte. Ciò che di più bello ha prodotto l’intelligenza umana - i diritti dell’uomo con l’ideale di libertà, uguaglianza e fraternità - è frutto dell’impatto della cultura ebraico-cristiana su quella occidentale. Il confronto culturale è sempre fecondo: comunicare è sempre un reciproco ricevere e dare.

Le parole di Paolo all’Areopago toccano il cuore di ogni uomo: in tutti e ovunque c’è il sacrario a «un Dio ignoto». È ignoto perché altro da ogni nostra rappresentazione; eppure è «il non altro da ogni altro», «intimo a noi più di noi stessi». «In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo». Molti credono di conoscerlo e lo riducono a un kit di idee, formato tascabile, utilizzabile a propria convenienza. Ci si dimentica che Gesù, anche se è spesso usato da noi per puntare al potere, fu ucciso come bestemmiatore e sovversivo dall’apparato religioso e politico.
Dobbiamo mantenere sempre la dimensione del Dio ignoto - il Deus semper maior o, meglio, il Deus semper minor. Solo così possiamo incontrarlo in ogni uomo, unico e vero sacrario di Dio. Diversamente, invece di annunciare il Vangelo, «immoliamo e mangiamo» gli altri per assimilarli a noi. Il proselitismo è proprio cannibalismo!

Il «Dio ignoto» si rivela nel desiderio, comune a tutti, di essere amati e amare. Solo questo ci fa passare da un’esistenza infelice, brutta e cattiva, a una vita felice, bella e buona. Tale desiderio è il sigillo di Dio, nostra somiglianza con lui, impressa in ogni figlio d’uomo. Siamo chiamati a essere ciò che siamo: «figli di Dio». Non però del dio dei potenti, che è follia di morte, ma del Dio di ogni figlio d’uomo, che è sapienza di vita.

Tutti noi, come gli ateniesi, desideriamo conoscere le ultime novità. Tale curiosità resta però sterile se la novità non si traduce in una meraviglia che ci muta la vita. Dio è presente nelle novità. Non però delle idee, bensì della realtà. Dio è amore. E l’amore si manifesta nei fatti, più che nelle parole.

Silvano Fausti SJ

 

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© FCSF – Popoli, ottobre 2014