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L'ultima Parola
Silvano Fausti
Gesuita, biblista e scrittore
Un Dio operaio
Paolo ed Aquila «erano di mestiere fabbricatori di tende» (leggi At 18,1-18; cfr 1Cor 4,12)

Dio è il primo operaio. Infatti, se nel primo capitolo della Genesi crea con la parola, nel secondo lavora con le mani. I due racconti, complementari, sono come il dire e il fare di chiunque non vuole ingannarsi o ingannare. Prima, da operoso costruttore, Dio «fa» cielo e terra, con relativo impianto idrico per rendere possibile la vita. Poi, da esperto artista, plasma Adamo dall’argilla, soffiandogli dentro il suo respiro. Impastato di terra e «invasato» d’ispirazione divina, l’uomo è imparentato con il creato e il Creatore. Infine Dio, da paziente agricoltore, pianta ogni albero bello e buono. Ad opera compiuta, ci consegna il suo giardino, con l’onore di essere uguali a lui, primo coltivatore e custode della vita.

Purtroppo la menzogna del serpente (cfr Gen 3,1ss) ci suggerì un dio padrone che domina invece di un Dio operaio che serve. Peccato... Ci rovinò la relazione con lui e con noi stessi, con l’altro e con l’universo intero. Ciò che prima era amore, dono e vita, diventò egoismo, possesso e morte.

Per riconoscere «il Salvatore» di questo mondo perduto, l’angelo dà ai pastori di Betlemme un segno: «Troverete un bambino, fasciato e adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,11s). Salvatore non è il grande imperatore che ha in mano tutto e può uccidere tutti: è un piccolo che si mette nelle mani di chiunque l’accoglie. Suo fascino è l’esser fasciato da cura materna, sua reggia la stalla e suo trono la mangiatoia. Non impugnerà spade per distruggere. Per mangiare maneggerà legno. Ad esso lo appenderanno, facendone cibo per ogni bocca. Mano significa «potere». La sua mano è amore inchiodato a nostro servizio, fino a darci la sua vita.

Paolo, come Gesù e ogni maestro d’Israele, lavora con le mani. Fa lo stesso mestiere di Aquila, con cui condivide il tetto. Dopo l’esperienza di Atene arriva a Corinto «in debolezza, timore e tremore» (1Cor 2,3). In un mondo di padroni e schiavi, l’Apostolo si ritrova tra questi. A loro è riservato il lavoro manuale, disprezzato dai padroni. La sua vicinanza agli ultimi gli fa capire meglio il Vangelo. Con loro infatti si è identificato il Signore stesso. Ai suoi compagni di pena può annunciare con chiarezza che il Messia promesso è Gesù, ucciso dal potere religioso come bestemmiatore e da quello civile come schiavo ribelle. Gli schiavi capiscono il crocifisso: Dio è con loro e uguale a loro! Per Giudei e Greci, che cercano potenza di portenti e sapienza di potenti, la croce è scandalo e follia. In realtà è potenza e sapienza di Dio, che salva da ogni schiavitù.

Libero non è il padrone che opprime, ma chi si fa servo per amore. Schiavo è chi schiavizza altri. Tutti siamo più o meno inquinati dalla sete di potere! Paolo, il grande dottore, proclama ora di non sapere altro se non «Gesù, e questi crocifisso». Nessuno dei padroni di questo mondo lo può comprendere, altrimenti «non avrebbero crocifisso il Signore della gloria» (1Cor 2,2.6-10). I Vangeli furono scritti per far riconoscere Dio dalla croce, dove si rivela come amore più forte della morte. Una sua conoscenza prima del Calvario è demoniaca. Anche Pietro fu chiamato satana quando non accettò che il «figlio di Dio» finisse in croce (cfr Mc 8,27-33).

Paolo lavora con le mani anche per annunciare gratuitamente il Vangelo. Preferisce morire piuttosto che far diversamente (1Cor 9,15ss). Per evangelizzatori e pastori è sempre in agguato la tentazione di farsi padroni della Parola e del gregge. È troppo facile ricostruire caste clericali di scribi e sacerdoti che continuano a crocifiggere i poveri cristi.

Vero maestro di vita il lavoro! Secondo san Tommaso d’Aquino serve per vivere, evitare l’ozio, vincere la concupiscenza e fare elemosine. Inoltre - gran cosa! - è rimedio a furto, cupidigia di beni altrui e turpi imbrogli per procurarsi «la roba».
Silvano Fausti SJ

 

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© FCSF – Popoli, dicembre 2014