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Cinema e Popoli
Luca Barnabé
Critico cinematografico
Valentino’s Ghost
Dal volto fascinoso e muto dello «sceicco» Rodolfo Valentino alle bandiere a stelle e strisce bruciate. Dagli albori del cinema in bianco e nero e senza sonoro, in cui l’arabo era spesso rappresentato come un eroe coraggioso e romantico, fino a oggi, in cui l’islamico è citato dai media quasi solo nella cronaca nera come terrorista.
Nella sezione «Venezia Classici - Documentari» dell’ultima Mostra cinematografica, una delle opere contemporanee più attuali è stata Valentino’s Ghost di Michael Singh (www.valentinosghost.com). Il regista, di padre indiano e madre statunitense, mostra in maniera efficace e senza filtri come i media degli Usa - dal cinema alla satira, passando per i Tg - hanno rappresentato e rappresentano oggi i musulmani.
Il caso del trailer visto su YouTube di Innocence of Muslims, diretto dal regista noto con lo pseudonimo di Sam Bacile e la violenza che ne è seguita sono cronaca di pochi giorni dopo la proiezione veneziana del film di Singh.
Valentino’s Ghost nasce da sei anni di ricerche e raccolta di materiale, ha una struttura per capitoli che, a tratti, appesantisce la visione e rende didascalico il messaggio. Ma il messaggio è chiaro: l’icona del musulmano nei media americani è da sempre stereotipata, dunque parziale.
In passato era uno stereotipo «positivo» segnato da un abbellimento mitizzante dell’arabo nel cinema hollywoodiano degli anni Venti: Lo sceicco (1921) e Il figlio dello sceicco (1926) con il viso, incorniciato dal turbante, del divo Rodolfo Valentino, da cui il titolo del film Il fantasma di Valentino. L’oggi, invece, è marcato da connotazioni in negativo, all’ombra tragica delle torri gemelle che crollano.
Da sempre l’immagine dell’islam che emerge dai media americani riflette fedelmente la politica Usa in Medio Oriente e la nascita del conflitto fra israeliani e palestinesi. Non a caso il sottotitolo del film è: La politica dietro le immagini.
Singh tesse materiale d’archivio cinematografico - da Lawrence d’Arabia (1962) a Regole d’onore (2000) - con frammenti di servizi di Tg e interviste a  giornalisti, storici e intellettuali.
Colpisce l’intervento di Robert Fisk (The Indipendent) che, a proposito di Israele e Palestina, spiega: «I media cambiano e ridimensionano il linguaggio del conflitto in atto. Il muro diventa una “barriera di difesa”. I territori occupati sono “territori controversi” [...]. Rendiamo il Medio Oriente incomprensibile per chi non ci abita o non c’è mai stato».
Oggi ci si inquieta perché la violenza dei fanatici religiosi può esplodere per un filmetto comparso in rete e che funge da pretesto per innescare barbarie. Ma anche perché i media ufficiali continuano a diffondere punti di vista discutibili senza offrire spunti per un dialogo serio.

© FCSF – Popoli, 1 novembre 2012