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Cinema e Popoli
Luca Barnabé
Critico cinematografico
When Pigs Have Wings
Il palestinese Jafaar (l’ottimo attore iracheno Sasson Gabai), il volto segnato dalla vita e gli abiti lisi, è un uomo «senza qualità», impacciato e molto sfortunato. Un perdente. Vive sotto la torretta di un avamposto israeliano sulla striscia di Gaza. Sente i soldati che cantano al piano di sopra e percepisce i loro acidi commenti in ebraico ogni volta che arriva a casa senza niente in mano e, soprattutto, senza pesce.
Jafaar è infatti un pescatore, ma non ha fortuna nemmeno quando immerge le proprie reti in acqua. Vecchie scarpe, pesci minuscoli e invendibili. Eppure l’uomo non si perde mai d’animo, i piccoli pesci li fa vibrare in aria per strappare il sorriso a un bambino che invece lo ignora perplesso. La moglie lo sopporta con affetto.

Un giorno, dopo una tempesta, Jafaar pesca un maiale misteriosamente emerso dalle acque. La bestia, per lui, musulmano osservante, è impura. L’uomo cerca dunque di sbarazzarsene in ogni modo, ma l’impresa risulta quasi impossibile anche perché, ovviamente, nemmeno gli ebrei vogliono un maiale, ugualmente impuro per la loro religione. Jafaar tenta di venderlo a un funzionario dell’Onu e poi si arma di fucile per finirlo. Le cose, però, prendono sempre la direzione sbagliata. Forse.
È attesa (si spera in giugno) l’uscita anche in Italia di Le cochon de Gaza (Il maiale di Gaza, nel titolo francese) o When Pigs Have Wings, notevole commedia-fiaba sul conflitto israelo-palestinese e sulla condizione umana in Medio oriente. L’autore - alla sua opera prima da regista - è il giornalista e scrittore francese Sylvain Estibal, che per questo film ha ottenuto il premio César per la migliore prima regia. Estibal riesce a tessere con prodigioso equilibrio una storia tra surrealismo e realtà. Questo genere di racconto, specie all’opera prima, rischia sempre di spingersi sopra le righe. Estibal, invece, trova il giusto sguardo e un efficace tono di voce che oscilla fra commedia agrodolce e fiaba politica, fermandosi (quasi) sempre un attimo prima di cedere al cattivo gusto, alla farsa o al grottesco.
L’animale detestato sia dagli arabi sia dagli israeliani è l’elemento che scatena la risata, ma anche il punto di partenza per una riflessione profonda sull’assurdità di ogni divisione tra simili e vicini. La potenza del film sta allo stesso tempo nella comicità fisica, spesso muta e «chapliniana» del protagonista Gabai e in certi dialoghi divertenti quanto scorretti.

«Tornatene da dove sei venuto!» dice un israeliano a Jafaar, che ribatte «Io vengo da qui! Sono di qui. E tu?!». O ancora, ribaltando in chiave critica i pregiudizi, un amico osserva: «Vedi, Jafaar, se fossi stato ebreo non ti saresti sbarazzato del maiale... Ne avresti ricavato almeno un profitto!». In seguito sarà proprio tale possibilità a unire l’uomo palestinese ad alcuni coloni israeliani.
Il regista ha ricavato l’idea per il film leggendo alcune cronache riguardanti navi cargo cariche di maiali che attraversano l’Atlantico e immaginando che cosa poteva accadere a un animale caduto in acqua in terre di conflitti.
«La migliore arma è la risata - osserva Estibal -. Spero di poter fare ridere e riflettere entrambi i campi, entrambi gli opposti punti di vista…». Purtroppo, al momento, né gli israeliani né i palestinesi hanno potuto vedere il film, distribuito quasi ovunque tranne che in Israele e Palestina.


© FCSF - Popoli, aprile 2014