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Calcio africano, tra business e solidarietà
20 gennaio 2012
«In Kenya il calcio è ancora uno sport vero, non un business. Sebbene la nazionale e i team non siano competitivi a livello internazionale, qui il football è seguito e praticato da tutti. È uno straordinario strumento di aggregazione. È per questo motivo che lo abbiamo scelto per il nostro progetto». Renato «Kizito» Sesana, sacerdote comboniano da anni impegnato a Nairobi a fianco dei ragazzi di strada degli slum, quasi si schermisce nel parlare del piccolo miracolo sportivo di cui è stato uno degli artefici. L’Amani Yassets Sport Club, nato nel 1993, non è solo una squadra di calcio che in pochi anni ha raggiunto il campionato di serie B, ma è un progetto sociale ed educativo per i giovani delle baraccopoli.

«Il nostro obiettivo - continua il comboniano - era di riuscire ad amalgamare i ragazzi di strada e i ragazzi delle famiglie povere di Riruta, un quartiere di Nairobi. L’intuizione di Andrea Awuore, uno splendido ragazzo morto prematuramente in un incidente stradale, fu quella di usare lo sport e, in particolare il calcio, come mezzo di aggregazione. Il football piace a tutti. Ogni campo è teatro di sfide memorabili».

Viene così creata una squadra. I primi tempi non sono facili. I ragazzi di strada non sono ben visti. Hanno la reputazione di delinquenti, drogati, violenti. Loro stessi non amano confondersi con i loro coetanei che hanno una famiglia e una casa. Poi, piano piano, si crea un amalgama unico. I giocatori trovano l’affiatamento e migliorano anche tecnicamente. Nel 1998 la squadra viene iscritta alla Federazione e, dopo una serie di promozioni, sbarca in serie B. «La formazione andava benissimo - ricorda padre Kizito -. Talmente bene che per due volte siamo stati promossi in serie A. E per due volte abbiamo dovuto rinunciare alla promozione perché il nostro bilancio non ci permetteva di sostenere i costi della massima divisione. Sebbene le spese siano contenute (1.500 euro all’anno), il calcio keniano non garantisce entrate né con i biglietti per entrare allo stadio (che non esistono) né con gli sponsor. Quindi dobbiamo fare affidamento su donazioni e non è sempre semplice ottenerle».

Ma nel 2005 l’Amani Yassets è travolto dalla tempesta che sconvolge la federazione calcio keniana. Nel 2004 e poi nel 2006, la Fifa sospende la federazione keniana per le eccessive interferenze politiche nella sua gestione e per il mancato rispetto delle norme dei regolamenti internazionali. Questa decisione getta nel caos il movimento sportivo. L’Amani Yassets non si iscrive più ai campionati e continua a giocare solo nei tornei locali. «Lo scorso anno - osserva il comboniano - la federazione si è riorganizzata e ci siamo iscritti nuovamente al campionato. Uno dei nostri ragazzi, Christopher Wekesa, è stato convocato in Nazionale. È un orgoglio per noi».

Gli ottimi risultati sportivi della squadra, però, non devono far dimenticare il grande lavoro che sta dietro. «Il team è l’espressione del centro che abbiamo creato a Dagoretti. Lì ospitiamo una cinquantina di ragazzi strappati alla strada, cercando di offrire loro un futuro migliore». Ai ragazzi più bisognosi viene offerto vitto e alloggio. Possono poi svolgere attività diverse: sportive (calcio, ma anche volley, basket, ginnastica, arti marziali) e non sportive (informatica, disegno, ecc.). «Il calcio - dice Kizito con un misto di commozione e orgoglio - è solo l’espressione più evidente delle nostre attività. Ciò che conta di più è che questi ragazzi riprendono a studiare. Alcuni con ottimi risultati. Quest’anno, uno dei nostri ospiti, un ragazzo di 17 anni, ha ottenuto a scuola voti così alti che è riuscito a vincere una borsa di studio messa in palio a livello nazionale da una banca keniana. Per noi è un motivo di grande felicità».

Enrico Casale

© FCSF – Popoli
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