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"E se in Siria vincesse il regime?" Il monito di un prigioniero politico
14 marzo 2014

A pochi giorni dal 15 marzo, terzo anniversario dell’inizio della rivolta siriana contro il regime del presidente Bashar al-Assad, la casa editrice Castelvecchi ha invitato a Roma lo scrittore Mustafa Khalifa per la presentazione del suo romanzo La Conchiglia, appena pubblicato.

Mustafa Khalifa racconta nel volume una storia vera, una delle tante storie vere della Siria degli Assad, una storia che conosce bene, visto che è la sua. È l’idea che un giorno avrebbe scritto questo romanzo ad averlo tenuto in vita durante i 13 anni, 3 mesi e 13 giorni che ha trascorso nel lager di Tadmur, vicino alla paradisiaca oasi di Palmira?

“Noi, gli scrittori siriani, eravamo in un guscio, o in una conchiglia, o in un parcheggio della storia, poi è arrivata la rivolta del nostro popolo, dei siriani, a trasferirci. In un certo senso direi che scrivendo mi ero liberato di incubi e ossessioni, ma è la rivolta che mi ha fatto uscire nella vita”.

Khalifa ricorda i giorni in cui fu arrestato, lui appartenente a una famiglia cristiana, con l’accusa di essere un membro della Fratellanza musulmana. Nulla di sorprendente, visto che un leader politico dell’opposizione, il cristiano Georges Sabra, è stato arrestato e detenuto anche per l’accusa di voler dare vita a un emirato islamico. Nei ricordi non sorprendenti di Khalifa, però, non c’è quello del giorno del processo, visto che non è mai stato mai sottoposto a processo. Mai condannato. Solo torturato, seviziato, umiliato nella carne e nello spirito, ogni giorno.

“Non direi che si possa misurare, per me e tanti altri che come me hanno vissuto questo dolore, il valore personale di questa esperienza in termini di possibile odio per i carnefici o di possibile amore per chi ci è stato vicino nonostante tutto. Noi lo sappiamo che siamo tutti vittime, tutti. Come tanti altri, anch’io una volta uscito sono andato a pranzo con chi mi ha torturato, ho accettato le loro scuse, so che eseguivano ordini. Abbiamo preso il caffè insieme, consapevoli che il problema che ci unisce non è personale, è politico”.

Davanti all’uditorio toccato dal suo racconto e dalle breve letture di passi di questo viaggio nel buio, Mustafa Khalifa ha letto un appello agli uomini liberi dell’Italia e dell’Europa, per non dimenticare i siriani, ma senza mai alzare i toni, senza mai parlare di “tradimento”.

“Sappiamo da sempre che morale e politica sono due cose diverse. Ma sappiamo anche del lungo cammino che l’umanità ha compiuto per avvicinare politica e morale, e la Carta universale dei Diritti umani è uno dei punti di approdo di questo cammino. In quella carta si parla anche della tutela della popolazione civile in zona di guerra. È questo che i siriani si aspettano di veder riconosciuto. In particolare dagli europei”.

E qui il pensiero è andato a padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita del monastero di Mar Musa, impegnato per trent’anni nel dialogo con i musulmani, e al valore della sua testimonianza culminata nel rapimento il 29 agosto 2013. “Lui è un italiano come è un siriano. Ecco, il motivo di tanto amore per lui in Siria, sta proprio qui, nell’aver dimostrato che avendo una storia in comune, vivendo sulle sponde dello stesso mare, siamo fratelli nell’umanità: i problemi degli uno sono i problemi degli altri”.

Il bellissimo romanzo di Mustafa Khalifa, da pochi giorni in tutte le librerie italiane, vuole guidare il lettore nel passato della Siria, nelle radici di una rivolta nata dall’insopprimibile bisogno di libertà dell’individuo. Ma un suo saggio, pubblicato mesi fa, ci obbliga a porci l’altra domanda: che cosa succederebbe in Siria se la rivolta fallisse, se vincesse Assad?

r.c.

© FCSF – Popoli