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"The Mission", le telecamere non si spengono
7 ottobre 2013

Non sono bastate centomila firme raccolte in due mesi sul sito change.org per fermare la messa in onda del programma di Rai1 The Mission. Non c’entra nulla il film Palma d’Oro a Cannes (1986), sulle storiche missioni dei gesuiti in Paraguay con la celeberrima colonna sonora di Ennio Morricone. Si tratta dello «show umanitario» in prima serata che andrà in onda in due puntate previste per il 4 e l’11 dicembre e che porta personaggi da Isola del Famosi in campi per rifugiati in Paesi africani, come Sud Sudan e Congo, dove trascorrono due settimane. Lo ha annunciato il direttore di Rai 1, Giancarlo Leone, aggiungendo che «il primo obiettivo è di raccontare una realtà durissima, quella delle missioni umanitarie sparse nel mondo». Ai «vip» è stato chiesto di «immergersi in questa realtà sconosciuta e farci capire quali siano i problemi che i volontari affrontano tutti i giorni, dalla potabilizzazione delle acque alla fornitura di cibo, dall’assistenza sanitaria all’alfabetizzazione». Così spiega la Tv pubblica.

«Tutti sanno che esistono i campi di rifugiati. Qualcuno imparerà qualcosa vedendo Al Bano che lava i piatti? Non credo». È netto il commento rilasciato a popoli.info da Chiara Giaccardi, sociologa, docente all’Università Cattolica di Milano ed esperta di mass media. Che aggiunge: «Il principio del “tutto, purché se ne parli” non è accettabile in sé. Ancora meno in una realtà di sofferenza da comprendere alla luce di una contestualizzazione che un formato di questo genere non può dare».

La partecipazione di Carrisi (con due figlie), di Paola Barale, del giovane Savoia e altri personaggi televisivi frequentatori da anni dei reality show ha sollevato mille polemiche. Sorpresa ha destato il coinvolgimento nel programma dell’Acnur (l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati) e della Ong Intersos, attiva in una quindicina di Paesi del Sud del mondo in molte situazioni di crisi. Toccata dalle polemiche, Intersos è corsa ai ripari con alcune precisazioni. In un comunicato del 4 settembre nega che si tratti di un «reality», ma di un progetto nuovo di «social Tv», per portare all’attenzione di un pubblico ampio le attività di cooperazione condotte in crisi umanitarie dimenticate» (leggi anche la lettera inviata successivamente alla pubblicazione di questo articolo).

Anche il Parlamento è stato coinvolto, soprattutto per le critiche sollevate da Roberto Fico del Movimento 5 Stelle, presidente della Commissione di Vigilanza della Rai, e da alcuni parlamentari del Pd. La questione ha interessato direttamente la presidente della Camera, Laura Boldrini, che all’epoca della realizzazione della puntata zero era portavoce dell’Acnur per l’Italia. Boldrini chiarisce che l’idea originaria si ispirava a una serie Tv australiana. Si tratta di Go Back To Where You Came From, trasmessa dalla rete Sbs nel 2011 e 2012. Il programma, però, aveva coinvolto all’inizio cittadini comuni e successivamente personaggi noti agli spettatori, ma attivamente coinvolti su fronti diversi nel dibattito pubblico sui rifugiati, dibattito che in Australia è molto acceso.

Anche il direttore di Rai 1 parla di «social Tv», spiegando che la rete non vuole fare spettacolo, né stuzzicare i sentimenti come fa la Tv del dolore, ma portare finalmente al grande pubblico temi totalmente rimossi. Ma è necessario ricorrere a questo tipo di programma? «La preoccupazione è di mantenere in vita un format a basso costo - accusa Chiara Giaccardi -, ricorrendo a un soggetto delicato che richiederebbe di essere trattato da persone che sanno di che cosa si tratta. È una mossa di cattivo gusto perché questi personaggi che dovrebbero dare visibilità sono essi stessi personaggi dalla visibilità appannata. La formula dei reality è fuori contesto. Va bene fare uscire certi problemi dall’invisibilità, ma non si può scadere nella spettacolarizzazione».

Per Giovanni La Manna, gesuita e presidente del Centro Astalli, opera che si occupa quotidianamente di rifugiati, «è vero che molti sono alla ricerca di esperienze forti, ma bisogna chiedersi come sensibilizzare la gente, non solo a livello emotivo. La nostra posizione è quella di promuovere un incontro diretto fra i veri rifugiati e le persone in un contesto però dove diritti e dignità siano salvaguardati».

I promotori della campagna per cancellare il programma hanno sollevato domande scomode sui compensi dei partecipanti, sia direttamente da parte della Tv di Stato, sia derivanti da eventuali servizi che i «vip» potrebbero offrire ad altre testate giornalistiche. La Rai spiega che riceveranno 700 euro al giorno come rimborso spese e «la presenza in studio sarà contrattualizzata in modo coerente a quanto pagato per il soggiorno nei campi profughi». Si può aggiungere l’interrogativo sulla destinazione degli introiti pubblicitari derivanti dal programma. Non è detto che vadano a beneficio dei rifugiati.

Sono circa 15 milioni i rifugiati nel mondo e quasi 29 milioni gli sfollati all’interno dei propri Paesi. In milioni vivono in campi, soprattutto in Africa e in Medio Oriente, anche anni. «Esistono i telegiornali e gli approfondimenti giornalistici che hanno ancora un pubblico ampio - conclude Giaccardi -. Il loro linguaggio mi sembra più adatto per parlare di questi drammi enormi rispetto a quello del format del reality che trita tutto ciò ingoia».

Francesco Pistocchini

© FCSF – Popoli