Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Idee
Cerca in Idee
 
La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
Cari amici dei siriani

Cari amici dei siriani,
vedo la necessità di rispondere all'onda di critiche anche comprensibili e comunque ovviamente lecite che mi vengono rivolte a causa delle mie esplicite prese di posizione pubbliche. Siamo democratici oppure no? Nel mio libro La Rage et la Lumière (Atelier, Paris) ho risposto a molti di questi argomenti. Il libro sarà pubblicato dalla EMI in italiano in  settembre, con il titolo Collera e Luce, un prete nella rivoluzione siriana.

Tuttavia non tento neppure di rispondere qui a coloro che sono organicamente parte attiva della propaganda del Regime mafioso di Bashar el-Assad. (Dico mafioso non solo nel senso delle metodologie, ma anche in quello delle note connessioni internazionali di natura mafiosa, compreso il commercio di stupefacenti). Il loro metodo sistematico è quello della menzogna e della distorsione delle informazioni. Si assumono delle gravi responsabilità anche penali giacché si rendono complici di orribili e continuativi crimini contro l'umanità. Nessun amore di Chiesa, nessuna solidarietà coi cristiani orientali, nessuna islamofobia possono giustificare dei crimini contro il dovere di informare secondo verità e di astenersi da manovre di manipolazione menzognera dell'opinione pubblica e dei responsabili politici internazionali.

Giacché si è molto insistito sul fatto che avrei profittato per i miei comodi della situazione siriana, del Regime siriano, e che ora darei prova di poca gratitudine tradendo innanzitutto i cristiani siriani, mi limiterò ad una serie di considerazioni in ordine cronologico per render conto dell'evoluzione della mia posizione.

Ho visitato la Siria degli Assad una prima volta nel 1973, appena prima della Guerra di Ottobre; ne riportai l'impressione di un popolo sottomesso ad una macchina di propaganda nazionalista possente mobilitata al massimo in senso anti israeliano. I Paesi arabi subivano l'occupazione di vasti territori da parte di Israele, c'era la Guerra Fredda: per tanti motivi ero solidale, come lo sono oggi, con le sofferenze del Popolo Palestinese e degli Arabi in generale. Ma quell'attitudine di manipolazione totalitaria dell'informazione già mi ripugnava. Sapevo che si trattava di una dittatura e non nutrivo illusioni sul rispetto dei diritti dell'uomo in quel paese.

Nel 1978 ero a Beirut durante il terribile assedio dei quartieri cristiani di Achrafiye da parte dell'esercito siriano. Il Regime siriano si è comportato da padrone senza scrupoli sfruttando il Libano in tutti i modi e nascondendosi dietro una serie di maschere ideologiche venute poi meno le une dopo le altre di fronte all'eroica resistenza del popolo libanese democratico.

Nel 1980-81 ero a Damasco per lo studio dell'Arabo, delle Chiese Orientali e dell'Islam, ed ho amato infinitamente quel buon vicinato siriano nel rispetto e nel pluralismo che non è stato creato dal Regime ma che questi ha cercato di recuperare a suo merito mentre lo corrompeva sul piano morale e ideologico. Venni in contatto e a conoscenza dei metodi di sistematica tortura repressiva utilizzati dal Regime. Se volevo restare nel paese dovevo assoggettarmi come tutti. Ma non ero obbligato ad assoggettarmi in coscienza. Moltissimi cristiani già lasciavano allora il paese visto il perdurare della situazione di incertezza nella società locale e nella regione. Alcuni erano pro regime, altri contro, ma tutti cercavano di partire per il futuro dei loro figli. Bisogna ricordare che allora la solidarietà del regime con il mondo sovietico era evidente, anche riguardo alle libertà democratiche criticate come borghesi e asservite alle logiche neo imperialiste. Io cercai sempre di avere buoni rapporti con lo Stato in quanto proprietà dei cittadini anche se sottomesso al Regime dittatoriale. Mi sono anche sforzato di avere delle relazioni il quanto più possibile aperte e franche coi membri dei servizi di sicurezza che mi interrogavano di seguente. Ero per la legittima lotta di liberazione contro l'occupante israeliano ma evitavo sistematicamente di cedere ai toni spesso esplicitamente antisemiti della propaganda di Regime e mi sforzavo di valorizzare i varchi ideologici che permettessero di pensare, concepire e volere la pace e la riconciliazione regionale.

Nell'82 ero studente di teologia a Roma quando avvenne il terribile massacro della popolazione civile di Hama durante l'insurrezione dei Fratelli Musulmani. Ne soffrii tanto da ammalarmi. Non se ne poteva parlare pubblicamente altrimenti mi scordavo la possibilità di rientrare in Siria dove mi sentivo chiamato a servire l'armonia islamo-cristiana. Aderii a un digiuno gandhiano per il popolo salvadoregno in occasione della Settimana Santa con il MIR alla Parrocchia di Cristo Re e vissi in quel digiuno una grande solidarietà col popolo siriano martire della violenza e della repressione. Per questo poi ripetevo negli anni senza stancarmi che occorreva fare di tutto per facilitare un'evoluzione e un cambiamento democratico per gradi e per riforme successive per evitare altri bagni di sangue.

Tuttavia ero perfettamente cosciente che un continuo, silenzioso massacro avveniva nelle carceri, nei lagher, nei gulag siriani. Ne avevo ricevuto in diverse occasioni delle testimonianze dirette e sapevo che molti cristiani, anche tra le autorità ecclesiastiche, si erano abituati a questo stato di cose come naturale e necessario rendendosene a volte direttamente complici. Questo mi addolorava profondamente e vi vedevo un rischio pesantissimo per il futuro della Chiesa in Siria. La stessa cosa avveniva d'altronde in Iraq e in Egitto.

In questo spirito, con questi sentimenti contrastanti, eppure con molta speranza ed entusiasmo, ho vissuto nella Siria degli Assad per più di trent'anni. A causa dell'ampio impatto internazionale del mio impegno di restauro, di accoglienza e di dialogo al Monastero di Mar Musa, godetti indubbiamente di uno spazio di parola e di una libertà di opinione incomparabilmente più largo dei normali cittadini, obbligati a portare fin dalla più tenera infanzia il cervello all'ammasso della manipolazione di Regime la più priva di scrupoli e costruita su un nazionalismo sempre in diritto di schiacciare, anche in coscienza, gli individui per l'affermazione del soggetto collettivo rappresentato dal Duce (Qa'id, in Arabo).

Fui presto oggetto di critiche aspre e di accuse ingiuste proprio perché la mia libertà di parola sembrava impossibile ai più, anche se era sempre limitatissima e molto auto controllata se paragonata alla situazione per esempio europea. Era un gioco in fondo leale: io offrivo un volto che illustrava internazionalmente l'apertura e il pluralismo almeno programmatico del potere siriano e loro accettavano ch'io mi comportassi come se la democrazia, seppur non perfetta, fosse già almeno in fieri.

Ho lavorato continuativamente nella prospettiva del successo dei negoziati di pace nella visione di un Medio Oriente riconciliato nella giustizia. Per questo ho operato per il successo del cammino di Abramo (the Abraham Path Initiative)  nonostante le accuse di sionismo strisciante rivoltemi dai nazionalisti più settari e antisemiti. Ho curato le amicizie sincere e solidali con i movimenti palestinesi rappresentati a Damasco di diversi orientamenti politici, ed ho curato a nome della Chiesa le nascenti relazioni con il movimento islamista palestinese Hamas.

Ho sempre dichiarato che l'islamismo politico è una grande realtà regionale e che non è immaginabile che si debba rinunciare alla democrazia, ai diritti civili e all'autodeterminazione dei popoli per continuare a sopprimere il programma islamista, sia esso salafita o dei Fratelli musulmani o di gruppi più o meno moderati. Si tratta di un soggetto politico plurale non aggirabile ma tuttavia esposto ad evoluzione, spesso rapida. Per questo ho sempre curato la relazione coi leader naturali, scelti e seguiti dalla piazza e dal popolo delle moschee, dei musulmani siriani, rifiutandomi di appiattirmi sulle autorità approvate e nominate dal Regime.

Ho preso posizione contro la diffusione della corruzione criminale in espansione dopo la caduta del Muro di Berlino a causa di una liberalizzazione dell'economia di natura mafiosa perché priva dei controlli di una stampa libera e di una magistratura indipendente.

Dal punto di vista delle guerre regionali, nel 1991 la Siria partecipò alla coalizione contro l'Iraq di Saddam che aveva invaso il Kuwait. Trovai giusto in quell'occasione che si salvassero i curdi dall'attacco di Saddam e proteggendoli con una no fly zone ... Rimasi poi scandalizzato profondamente quando gli sciiti iracheni furono cinicamente abbandonati alla repressione del dittatore di Bagdad, e così pure i libanesi abbandonati allo strapotere siriano.
Negli anni novanta vi furono le crisi dei Balcani, della Somalia, dell'Algeria ed altro. Non pretendo sputare sentenze su tutto e non pretendo di possedere formule generalizzabili ovunque. Penso però in generale che la collettività globale debba essere sempre più solidale e sempre più obbediente ai suoi principi e innanzitutto alla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo.
In Algeria la comunità internazionale finì con l'accettare la logica del Regime militare contro il cambiamento islamista... Davvero non c'erano altre alternative al di fuori della dittatura secolare o quella islamica? Penso che tali alternative ci fossero e ricordo bene il tentativo generoso allora della Comunità di Sant Egidio in questo senso.

È evidente che la guerra è raramente una soluzione e comunque è una soluzione cattiva e claudicante. Tuttavia con l'insegnamento tradizionale della Chiesa dichiaro, nonostante i rischi di equivoci stridenti e di ipocrisie criminali, la legittimità della guerra giusta, il diritto alla difesa armata, il dovere di proteggere i paesi e le popolazioni vittime di aggressioni violente interne e o esterne. Nonostante questo incoraggio e mi impegno per la pratica e il successo delle azioni nonviolente.
Penso alla non violenza attiva, politica, come ad una trascendenza dei conflitti. Non è essa sempre un'alternativa praticabile di per sé, ma essa è sempre necessaria. Molto più di un correttivo integrativo, prima durante e dopo i conflitti armati, la non violenza dialoga, testimonia, critica, assiste, apre vie di riconciliazione, va oltre!

Nel 2001 presi posizione contro l'invasione occidentale dell'Afganistan e contro una guerra al terrorismo islamico che non sapeva più distinguere tra i vecchi associati alla guerra della CIA contro i sovietici e gli attentatori delle Torri Gemelle. Ero d'accordo con l'aiutare, anche con l'aiuto militare indiretto, gli afgani, che non condividevano il progetto islamista talibano e pashtun, a difendersi. Pensavo e penso tutt'ora che una logica federale sarebbe stata la più adatta a promuovere e difendere i diritti di tutti gli afgani e favorirne l'armonizzazione dinamica. Nel 2014 la coalizione occidentale restituisce ai Talibani le chiavi dell'Afganistan... Gli osservatori più informati prevedono infatti come ineluttabile la ripresa del potere da parte dei Talibani. Certo è difficile sposare l'autodeterminazione del popolo (che per vaste regioni dell'Afganistan significa riconoscere il potere dei Talibani) con la doverosa promozione dei diritti umani sanciti internazionalmente.

Nel 2003 mi opposi con un digiuno pubblico all'invasione dell'Iraq da parte delle armate del Presidente Bush. D'altronde ero sempre stato fortemente critico delle crudeli e inutili sanzioni economiche. Ricordo bene che dicevo in Europa in diverse occasioni pubbliche: "Noi siamo contro la guerra e contro l'aggressione militare del regime di Saddam, d'accordo, ma attenzione, dobbiamo essere coscienti del prezzo morale della nostra presa di posizione. Le carceri di Saddam sono piene di prigionieri, di oppositori mostruosamente torturati ... Il sangue dei nostri vicini oppressi cola sulle nostre finestre e le urla di dolore dei loro figli ci costringono a turarci le orecchie. Non basta dire no alla guerra. Saddam non è un male minore, o la migliore delle cattive soluzioni, no! Occorre agire contro la dittatura e permettere l'autodeterminazione democratica di quelle popolazioni, favorendone eventualmente l'evoluzione federale. Questa infatti consente di intervenire in modo più indiretto, proteggendo dei movimenti di rivolta già esistenti, come quello curdo o quello sciita nel caso dell'Iraq". Invece si fece una guerra che sembrava fosse contro il popolo iracheno più che contro il Regime di Saddam. Si distrusse lo stato e si posero le condizioni per un conflitto civile sanguinoso facendo del paese il palcoscenico per una guerra di fatto regionale e, peggio, per una guerra percepita contro l'Islam nel suo complesso almeno sunnita, anche favorendo indirettamente  gli interessi iraniani. I cristiani ci andarono di mezzo e partirono profughi in Siria, in Giordania e da lì verso il mondo intero. Erano già stati stritolati dalla guerra Iran - Iraq negli anni ottanta e poi nella guerra anti curda di Saddam  e nelle crisi successive ... Inutile ripetere a macchinetta che Saddam difendeva i cristiani come Mubarak in Egitto e Assad in Siria. Io non so se Franco, Hitler e Mussolini difendessero i cristiani dal pericolo bolscevico. So che erano dittature da abbattere e che schierarsi per esse, per qualunque ragione pur comprensibile, equivale a portare in solido le responsabilità morali criminali di quei regimi.

Quando Assad figlio prese il potere nel 2000 si riaccesero le speranze per un cambiamento democratico incruento che potesse riconciliare la società siriana profondamente divisa e sofferente dietro la facciata delle realizzazioni gloriose del Regime. Anche la visita del Papa nel 2001 aveva la valenza di un segno di speranza, benché l'anno precedente la visita a Gerusalemme era stato l'ultimo momento di calma prima dell'inizio della seconda tragica intifada palestinese. La breve Primavera di Damasco è soffocata da una repressione il più dolce possibile per evitare di perdere quel credito che la società accorda al Dott. Bashar, per non perdere speranza nel futuro.

La crisi irachena del 2003 fu gestita dalla Siria come occasione di un gioco d'azzardo regionale che mostrava il desiderio di affermarsi come potenza inaggirabile. In combutta con l'Iran, la Siria giocò la carta della guerra, inviando in Iraq i giovani salafiti sunniti desiderosi di battersi contro i neo crociati di Bush ma anche di combattere gli sciiti. È essenziale comprendere questa capacità doppiogiochista del Regime siriano. Da una parte era disponibile a torturare per procura i prigionieri qaydisti mandatigli dalla CIA, ma allo stesso tempo mandava giovani attentatori suicidi ad operare in Iraq, contro gli americani, ma anche contro gli sciiti alleati all'Iran, grande partner regionale del Regime di Damasco.
È chiaro da tutto il contesto, e da molte prove, che lo stato israeliano aveva già fatto la scelta di gestire il Regime degli Assad come un male minore, un'ipotesi tattica favorevole. In fondo per Israele la mancanza d'unità dei suoi nemici restava la vera priorità, unita alle necessarie operazioni chirurgiche per evitare l'acquisizione dell'arma nucleare con operazioni puntuali e limitate, in Iraq e poi in Siria e forse presto in Iran. Anche la concorrenza tra musulmani sciiti e sunniti nell'uso della retorica anti israeliana più rozza negando la shoa e poi negando l'origine stessa del popolo di Israele in Terra Santa oltre all'uso di tutto l'armamentario antisemita zarista e nazista, consentiva a Israele di dichiarare l'intenzione genocidaria degli arabi e dei musulmani giustificando così il muro, l'espansione delle colonie e le pratiche di discriminazione sistematiche...

Nel 2005 molti nodi vengono al pettine con l'assassinio del premier libanese Hariri. La Siria deve fare la schiena d'asino per evitare l'intervento occidentale ed è costretta a evacuare il Libano. Un'altra occasione d'oro per Bashar el-Assad di esautorare la vecchia guardia e iniziare un cammino di riforme a marce forzate verso la democrazia è persa miseramente e la speranza dei siriani si restringe. Certo nel 2006, la guerra tra Israele e Hezbollah fa della coppia Bashar - Nasrallah gli eroi della riscossa arabo islamica. Molti musulmani sunniti optano per i paladini anti israeliani ... Perfino i fratelli musulmani sarebbero disposti a riconciliarsi col Regime che riesce addirittura nell'intento, lungo gli anni successivi, di diventare un partner privilegiato della Turchia neo islamica allontanandola dalla vecchia alleanza militare con Israele.
Questa situazione matura ulteriormente con la guerra di Gaza del 2009. Ma forse proprio con Gaza certi equilibri cominciano a logorarsi. La tensione in Iraq tra sunniti e sciiti diviene sempre più esplicita, in Libano lo stesso. Una resa dei conti matura...

Lungo tutto il decennio la mia azione si gioca nel provare e riprovare a favorire la riforma democratica cercando di salvare ciò che è salvabile della liceità della posizione anti imperialista della Siria di fronte alla grossolanità delle attitudini dell'America di Bush e delle destre israeliane al potere. Di Padre Paolo si dice ormai tutto e il suo contrario. La sua azione (è sempre quella della comunità monastica, ma per motivi ovvii è opportuno limitare il nostro discorso alla mia persona). L'attività di dialogo inter religioso è sostenuta internazionalmente, la preoccupazione ambientale e di lotta alla desertificazione è considerata esemplare, il lavoro di restauro artistico e valorizzazione culturale e spirituale del luogo di pellegrinaggio ha un vasto impatto. Insomma, Padre Paolo può permettersi di parlare di riforma con franchezza; scrive per dieci anni una lettera all'anno al Presidente Bashar al Assad cercando di consigliare delle riforme concrete ed effettive. Prima che sia troppo tardi. Sul piano diplomatico insiste sulla necessità di essere morali e coerenti: avanzare nella prosecuzione del lavoro di inchiesta e giudizio sui crimini, specie in Libano, nei quali il Regime siriano è coinvolto, e allo stesso tempo offrire delle vie concrete di riforma incoraggiate e finanziate in particolare dall'Europa. Si fa invece il contrario: si rinuncia ad andare fino in fondo sul piano giudiziario e si accetta il malcostume politico siriano sul piano nazionale e regionale, mentre senza condizioni di coerenza si riammette la Siria degli Assad nel cerchio della rispettabilità internazionale. Così il Regime si convince che la forza bruta è il vero motore della storia e che la democrazia è una buffonata di facciata.

La mia azione di inchiesta su casi di corruzione ecclesiastica grave sui piani sessuale, economico e politico (da gestire evidentemente nella discrezione più assoluta per evitare di mettere in pericolo i testimoni coraggiosi) getta olio sul fuoco. Dal 2010 la decisione di regime è presa: l'attività di dialogo è vietata, le conferenze sono impossibili anche su questioni di energia solare, i miei amici sono inquisiti... Il turismo iper controllato. Alla fine il mio permesso di residenza è ritirato; resto in Siria senza documenti di residenza e quindi non posso più viaggiare.

Ma intanto la Primavera araba è iniziata. Si spera ancora che Bashar, magari con l'aiuto della bella e sensibile consorte, possa mettersi alla testa di una riforma radicale del suo paese, utilizzando la Primavera come di uno strumento per esautorare le vecchie mafie familiari. Nulla da fare, da marzo 2011 è chiaro che la scelta della repressione incondizionata è la scelta strategica. Tutto il resto, quanto a dialogo e riforme cosmetiche, non è altro che prender tempo per evitare l'intervento internazionale e fumo negli occhi dell'opinione pubblica. La versione ufficiale della manipolazione mitica di stato è pronta: non c'è nessuna rivoluzione, ma solo l'azione dei terroristi islamisti radicali finanziati dal grande complotto costituito da Israele, gli USA, la Francia e i suoi vassalli europei, i massoni, gli ebrei, i sauditi, il Qatar, la Qayda, i Fratelli Musulmani, tutti insieme appassionatamente associati per distruggere il Paese, la Siria, avanguardia della resistenza anti imperialista e anti radicalismo musulmano. Le autorità cristiane, le suore e i frati, sono mobilitati per dare credibilità alla versione di Regime e lo fanno con entusiasmo con l'aiuto attivo di centri di manipolazione mercenaria dell'informazione come il famoso Resau Voltaire.

I democratici sono fatti a pezzi in prigione, gli islamici sono criminalizzati e spinti a realizzare la tesi di Regime sulla natura terrorista del movimento .... Quando necessario si possono sempre riutilizzare i vecchi islamisti teleguidati in Iraq e in Libano. Il know how complottista di Regime è oliato e noto ... E funziona!

Nel giugno del 2011, in controtendenza rispetto alla posizione tanto del Regime che della rivoluzione, scrivo ai massimi rappresentanti della Chiesa cattolica, significando che la guerra civile è già iniziata sul territorio e che, senza un rapido successo politico della rivoluzione con garanzie internazionali, i cristiani rimarranno intrappolati nel conflitto e ... partiranno, come in Iraq! Occorre, dicevo, attivare una iniziativa internazionale per uscire dalla contrapposizione Russia - NATO e Iran - arabi sunniti e turchi, forse chiedendo l'aiuto diplomatico e di mediazione sul terreno di paesi terzi come il Brasile. Dopo pochi mesi, alla fine del 2011, scrissi una seconda lettera: "Non s'è fatto nulla, le belle parole non bastano, abbiamo già perso una cristianità, resterà se Dio vuole e se ci decidiamo ad agire in modo coerente coi principi evangelici di giustizia e diritti per tutti, una Chiesa reliquiale ma non insignificante. È evidente che non sono stato ascoltato. Fino ad ora la Chiesa non si pronuncia sul diritto dei siriani, di tutti i siriani, anche gli esiliati lungo i terribili ultimi quarant'anni, all'autodeterminazione e a una democrazia diversa da una pagliacciata di Regime; e paesi che la Chiesa può incoraggiare ad agire mostrano una insensibilità impressionante!

Posso assicurare che sono meno isolato tra i cristiani siriani di ciò che si può immaginare, la mia voce però è una delle poche note che si siano levate a dire che noi cristiani non possiamo rimanere col Regime torturatore e oppressore e neppure possiamo restare neutrali. La storia è a un punto di non ritorno, e noi da che parte siamo?

Immaginiamo per un attimo che, anche con l'aiuto determinante dei cristiani, il Regime riesca a schiacciare la rivoluzione. Possiamo prevedere 500mila morti e 10 milioni di fuoriusciti... Cosa rimane della nostra testimonianza cristiana? Anche ad ipotizzare l'improbabile ritorno in Siria dei cristiani, cosa ci torneranno a fare dopo aver accettato un simile genocidio?

Il resto di questa tragica vicenda, compresa la mia espulsione un anno fa, si potrà leggere nel libro citato all'inizio, Collera e Luce.

In conclusione se dovessi dire in poche parole quale proposta faccio per uscire dalla violenza direi:
1- Uno sforzo spirituale, in occasione del Ramadan, per impegnarci e chiedere a Dio, Allah, la grazia della riconciliazione tra musulmani sunniti e sciiti: Pace nell'Islam, Pace della Chiesa!
2- Fornire ai partigiani democratici le armi antiaeree e anticarro necessarie per proteggere la popolazione e interrompere il massacro dei rivoluzionari, restituendo alla parola e all'opinione lo spazio centrale nel movimento in corso.
3- Consentire e incoraggiare la formazione di un comando militare rivoluzionario unificato obbediente a un governo provvisorio stabilito nel territorio siriano. Fino alla caduta del Regime a Damasco e il suo ritiro oltre il fiume Oronte sulla costa.
4- Imporre il cessate il fuoco con decisione del Consiglio di Sicurezza, offrendo a Russia e a Iran uno spazio geostrategico nella zona costiera della Siria dove la maggioranza è sciita alawita. Il modello, anche guardando alla questione curda, sarà quello d'una Siria unitaria, federale ma non confessionale come il Libano, e in grado di valorizzare nuovamente il sentimento nazionale autentico d'una larga maggioranza di siriani, su una nuova base costituzionale frutto di un processo negoziale assistito da grandi mediatori internazionali.

Grazie per avermi seguito fin qui. W la Siria libera!




© FCSF – Popoli, 19 giugno 2013