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Maurizio Ambrosini
Università di Milano, direttore della rivista Mondi migranti
Dietro la retorica dell’emergenza
Il capo del governo italiano ha definito uno «tsunami umano» i ripetuti sbarchi di migranti provenienti dal Nord Africa sulle coste di Lampedusa. Una simile metafora, ponendo sullo stesso piano le immani tragedie dell’Estremo Oriente e la nostra incapacità di accogliere qualche migliaio di migranti, esprime bene l’atteggiamento con cui le istituzioni politiche del nostro Paese hanno affrontato la situazione: parlando fin dagli inizi di emergenza epocale e agitando lo spettro di centinaia di migliaia di arrivi.
La retorica dell’emergenza mai come in questo caso nasconde in realtà l’impreparazione, la trascuratezza, forse persino una voluta drammatizzazione di un evento ampiamente prevedibile. A Lampedusa erano state smantellate le strutture di accoglienza, essendo stato dichiarato superato il problema degli sbarchi grazie ai controversi accordi con la Libia. Mesi di agitazioni e sollevazioni popolari in Nord Africa non sono stati sufficienti per indurre il nostro governo a predisporre un qualche piano per gestire fenomeni che gli stessi esponenti governativi dichiaravano di paventare, come effetto della caduta di quei regimi che per nostro conto vigilavano sulle coste. Abbiamo così offerto al mondo il triste spettacolo di migliaia di persone che dormivano all’addiaccio e non trovavano nulla da mangiare, se non ricorrendo alla generosità degli isolani.
Un altro strumento retorico ampiamente utilizzato è stato l’appello alla solidarietà europea e l’immancabile lamento per la reticenza incontrata. Bisognerebbe però ricordare qualche dato: nel 2009 il nostro Paese accoglieva 55mila rifugiati, contro i 594mila della Germania, i 270mila della Gran Bretagna, i 200mila della Francia. In proporzione alla popolazione, i Paesi scandinavi ne accolgono anch’essi ben più di noi.
Difficile invocare la solidarietà o la condivisione dell’accoglienza quando per anni si è predicata la sovranità nazionale in materia. L’accoglienza di 10mila persone, sempre che rientrino nei parametri per la richiesta di asilo, non sposta le proporzioni. Anziché presentarsi all’Europa con il cappello in mano, bisognerebbe cogliere l’occasione per un salto di qualità della politica, ponendo finalmente mano alla costruzione di una politica europea dell’accoglienza e dell’asilo. Nonché di una politica di sostegno alle speranze democratiche nordafricane.
© FCSF – Popoli, 1 maggio 2011