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Lettere da Strasburgo
Rosario Sapienza
Ordinario di Diritto internazionale e Diritto dell'Unione europea nell'Università di Catania
Diritto alla cittadinanza in Europa: uno, nessuno e centomila?

Questo nostro blog nasce dall’esigenza di mostrare come, lentamente e pur tra mille difficoltà, si venga costruendo un livello omogeneo di protezione dei diritti in Europa. Una situazione alla quale si fa spesso riferimento parlando di cittadinanza europea. Capita spesso di sentir dire che occorre, se non essere, sentirsi “cittadini europei”.  In realtà, pur essendo vero che a tutti gli europei, e particolarmente a noi italiani, farebbe un gran bene pensare in maniera meno asfitticamente nazionalista, l’espressione cittadinanza europea ha un significato tecnico più ristretto e preciso.

A termini dei Trattati di Unione, la cittadinanza europea – che integra e non sostituisce quella nazionale – conferisce a tutti i cittadini dei 28 Stati membri dell'Unione una serie di diritti supplementari rispetto allo status di cittadino di uno Stato membro. Il cittadino dell'Unione ha il diritto di votare e candidarsi alle elezioni amministrative ed europee nello Stato membro in cui risiede, gode della tutela consolare delle autorità di un qualsiasi Stato membro se il suo Stato non è rappresentato all'estero, può presentare una petizione al Parlamento europeo, rivolgersi al Mediatore europeo e, dal 2012, partecipare a un’iniziativa dei cittadini europei.

E, ancora, ha diritto alla libertà di circolazione, senz’altro il diritto più apprezzato. Ogni anno i cittadini europei compiono infatti più di un miliardo di spostamenti nell'Unione e sono sempre più numerosi quelli che esercitano il diritto di vivere in uno Stato membro diverso dal proprio. Eppure, sebbene oltre un terzo dei lavoratori (35%) sia pronto a prendere in considerazione un impiego in un altro Stato membro, quasi una persona su cinque ritiene che, all'atto pratico, vi siano ancora troppi ostacoli. Insieme alle difficoltà linguistiche, il principale scoglio al pendolarismo transfrontaliero è la carenza cronica di informazioni.

Nel 2013 si è celebrato l'Anno europeo dei cittadini ed  è stata organizzata in tutta l'Unione una serie di manifestazioni, conferenze e seminari  in ambito europeo, nazionale, regionale e locale.  In preparazione dell'Anno europeo la Commissione ha condotto, tra il 9 maggio e il 9 settembre 2012, un’ampia consultazione pubblica per rilevare i problemi incontrati dai cittadini nell'esercizio dei diritti legati alla cittadinanza europea. Dalle risposte è emersa chiaramente l'importanza che i cittadini attribuiscono ai diritti di cui godono nell'Unione europea, specialmente alla libera circolazione e ai diritti politici. Gli interpellati chiedevano un autentico spazio europeo in cui poter vivere, lavorare, spostarsi, studiare e fare acquisti senza trovarsi di fronte a ostacoli burocratici o discriminazioni.

La Commissione europea è da tempo al lavoro per superare tali ostacoli. La relazione 2013 sulla cittadinanza dell'Unione, adottata l’8 maggio 2013 e che si legge qui  ha presentato 12 azioni concrete (che si aggiungono alle 25 di cui alla precedente relazione del 2010) per rimuovere gli ostacoli che i cittadini europei incontrano tuttora nell'esercizio del diritto alla libera circolazione all'interno dell'UE. Tra queste figurano misure volte alla riduzione della pressione burocratica, ad agevolare gli acquisti, a potenziare il tasso di partecipazione democratica in Europa.

Ma ci sono ben altri problemi.  In primo luogo, il rischio attuale che invece di una sola cittadinanza europea ce ne siano invece 28. Infatti, la natura della cittadinanza europea quale  cittadinanza integrativa di quelle nazionali fa sì che ci siano 28 maniere diverse per diventare cittadini europei, tante quante sono le cittadinanze nazionali. Ed in alcuni casi, come ad esempio in Italia, la questione è ancora fonte di complesse e accese discussioni. Si pensi che davanti al Parlamento italiano ci sono pendenti una ventina di proposte di legge in materia e che, come si sa, il dibattito è apertissimo sulla possibilità di modificare l’attuale assetto risalente alla legge del 1992 e basato sullo ius sanguinis, in base al quale si eredita la cittadinanza dei propri genitori, o, a certe condizioni, dei propri ascendenti, introducendo elementi di ius soli, sistema in base al quale si è cittadini dello Stato sul cui territorio si è nati.  

In giro per l’Europa, quasi ovunque il regime giuridico dell’acquisto della cittadinanza risulta da un mix di ius sanguinis e ius soli, spesso conditi da considerazioni relative alla stabilità della residenza e all’esistenza di significativi legami con la comunità nazionale della quale aspira ad acquisire la cittadinanza (il cosiddetto ius domicilii).  Nessun sistema è esente da difetti, e di solito le scelte si basano su concrete e pratiche esigenze di politica legislativa. Uno Stato interessato ad attrarre ed integrare persone dall’estero spingerà sullo ius soli, mentre uno desideroso di mantenere stretti i legami generazionali e nazionali esistenti  privilegerà gli elementi di ius sanguinis.

Ma non c’è ancora un approccio unitario o uniforme. E questo ritarda, e di molto, qualsiasi significativa evoluzione verso una piena ed autentica cittadinanza europea. Non ci impedisce, però, di continuare a raccomandare di sentirci ogni giorno di più “cittadini europei”.

 


17/02/2014