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Maurizio Ambrosini
Università di Milano, direttore della rivista Mondi migranti
L’importante è partecipare
Il dibattito sulla riforma delle norme sull’accesso alla cittadinanza italiana - a cui anche Popoli, nel numero di agosto-settembre, dedica un approfondito servizio  - affronta una questione importante, carica di risonanze storiche, simboliche e persino psicologiche, ma rischia di perdere di vista un aspetto altrettanto cruciale: la cittadinanza nazionale resta l’architrave della piena accettazione nell’ambito della comunità politica, ma non è l’unica forma di partecipazione alla sfera pubblica. Può essere integrata o sostituita da altre pratiche partecipative, sia verso l’alto sia verso il basso.
Verso l’alto, stanno emergendo forme di cittadinanza transnazionale: ossia mobilitazioni, campagne di opinione, movimenti di protesta che travalicano i confini nazionali. Tipicamente, nel caso dei migranti, azioni politiche esercitate all’estero, ma riferite al Paese di origine, a sostegno oppure in opposizione verso il governo del Paese di provenienza. Oppure riferite alle politiche del Paese ospitante verso la madrepatria o verso la confessione religiosa di appartenenza.
Verso il basso, si è fatta strada una più chiara percezione della dimensione locale della cittadinanza. Il luogo in cui i migranti vivono, lavorano, accedono ai servizi, si inseriscono in una trama di rapporti sociali, è quasi necessariamente una società locale. Qui essi possono altresì sviluppare diverse pratiche partecipative: iscrivendosi a un sindacato, prendendo parte alle assemblee scolastiche, aderendo ad associazioni di vario tipo, svolgendo attività di volontariato, mobilitandosi contro xenofobia e razzismo. In questo senso, la cittadinanza non è soltanto un beneficio da richiedere, ma rappresenta una prerogativa da esercitare attivamente, con o senza il diritto di voto.  Paradossalmente, può essere più «cittadino», sul piano del protagonismo politico, un immigrato socialmente impegnato di un autoctono che si limita ad andare a votare alle scadenze istituzionali. Per non dire di chi a votare non ci va più.
Ottenere il diritto di voto resta cruciale per contare di più nel mercato politico, ossia per spingere le forze politiche ad avere più attenzione nei confronti delle esigenze e delle istanze dei migranti. Qui però si incontra uno strano problema: gli immigrati provenienti dall’Unione Europea in teoria godrebbero del diritto di voto locale, a patto di registrarsi a livello comunale. Ma questo primo tassello della cittadinanza politica resta di fatto inattuato. Non lo incoraggiano gli avversari dei diritti dei migranti, ma neppure i sostenitori di una nuova legge sulla cittadinanza. Anche su questo punto, si avverte l’esigenza di un nuovo e vigoroso protagonismo da parte dei diretti interessati. Migranti politicamente attivi e socialmente impegnati sono una risorsa per tutta la società. Ne sentiamo il bisogno.





© FCSF – Popoli, 1 agosto 2013
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