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La sete di Ismaele
Paolo Dall'Oglio
Gesuita del monastero di Deir Mar Musa (Siria)
Negazionismo islamico
Nell’estate del 1989, in occasione della Preghiera interreligiosa per la pace, visitai i campi di sterminio di Auschwitz e di Birkenau. Accompagnavo una delegazione musulmana e raccolsi diverse e contraddittorie reazioni. Un giovane intellettuale, ideologicamente accecato, riusciva ancora a negare la verità del genocidio. Un altro dignitario confessava invece, sconvolto, che quella visita lo aveva profondamente trasformato.
È un fatto che gli argomenti aberranti del negazionismo occidentale sono largamente recepiti in contesto musulmano in funzione del conflitto israelo-palestinese. Gli atteggiamenti antisemiti di tipo razziale non sono tradizionali in ambiente musulmano e l’antigiudaismo dottrinale è mitigato dal regime musulmano di tolleranza. Come mai allora i miti negazionisti, perversamente abbigliati di pretesa scientificità, si son fatti strada nell’opinione pubblica araba (cristiani inclusi) e musulmana?
Su La Repubblica del 29 gennaio Gad Lerner cerca le radici del negazionismo nella teologia del disprezzo del «popolo di dura cervice», nella dottrina della sostituzione d’Israele da parte della Chiesa e nelle commistioni ideologiche tra cristiani e nazifascismo. La Chiesa non avrebbe «risolto il problema teologico della persistenza ebraica nel mondo». Di qui verrebbe la difficoltà a impegnarsi in un vero dialogo interreligioso senza derubricarlo a dialogo interculturale. «Così si rinuncia a quel dialogo che, per divenire efficace - prosegue Lerner -, comporta la disponibilità a rimettersi in discussione grazie, e non contro la propria fede».
Ora, la Terra Santa è come il luogo storico e teologico dove si realizza la visione interreligiosa d’ognuna delle tre comunità abramitiche, e purtroppo si tratta spesso di visioni che si escludono a vicenda. Di qui la tendenza ad escluderci gli uni gli altri proprio dalla Terra Santa! Caricare il conflitto israelo-palestinese di significati teologici contrappone la visione giudaica della Terra promessa, come spettante al Popolo d’Israele, a quella islamica, dove la Terra benedetta è ormai interamente consegnata in eredità definitiva alla Umma del profeta Muhammad.
Quando i movimenti religiosi radicali vincono le elezioni e si impongono con le armi all’interno degli schieramenti opposti, si realizzano gli scenari più allarmanti: espansione della colonizzazione in Cisgiordania, minacce di deportazione nei confronti degli arabi israeliani, jihad all’ultimo sangue, allargamento regionale del conflitto, globalizzazione della guerra tra israeliti e musulmani.
Il negazionismo islamico si coniuga quindi con il desiderio di rendere del tutto ingiustificabile la creazione dello Stato d’Israele in Palestina allorquando questo Stato è percepito come una negazione altrettanto radicale dell’identità nazionale e religiosa palestinese. Se la Shoah giustifica, agli occhi degli europei e degli americani, la creazione a spese altrui dello Stato-rifugio delle vittime della follia antisemita, allora la negazione della Shoah diventa un corollario, certo non condivisibile, dell’affermazione dell’illegittimità d’Israele. Attenzione: per la mentalità musulmana maggioritaria non è del tutto impossibile immaginare uno Stato d’Israele in Terra Santa, ma ciò deve coniugarsi con il riconoscimento «sacro» delle rivendicazioni arabo-islamiche, a cominciare da Gerusalemme-al-Quds.
Non è il caso di dare pagelle di barbarie a questi o a quelli. E sarà bene che i cristiani non pensino di poter stare alla finestra! Sarà meglio prender posizione per una globalizzazione della responsabilità. La collettività internazionale dovrebbe decidersi ad agire efficacemente in un’ottica di nonviolenza, ma non di dimissionaria assenza. Sarà opportuno che la collettività globale imponga la separazione dei contendenti intesa come soluzione contingente e penultima, in vista dell’apertura dei «negoziati teologici» che dovranno svolgersi in vista d’un accordo di pace a carattere escatologico. Il passaggio dalla negazione dell’altro al riconoscimento altrui non può che essere reciproco, e beato chi saprà prendere l’iniziativa.

© FCSF – Popoli, marzo 2009