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Ogm e fame: la rivoluzione mancata
5 febbraio 2013

Sembrano avere fugato i dubbi sulla loro pericolosità per la salute e l’ambiente (a precise condizioni), mentre - contrariamente alle promesse - non hanno risolto la piaga della malnutrizione. L’unica certezza è che le piante geneticamente modificate sono fonte di enormi affari per poche multinazionali e di grandi problemi per i piccoli coltivatori. Il nostro approfondimento a 40 anni dalla creazione in laboratorio del primo Ogm "moderno". Sul web l'articolo introduttivo, una testimonianza indiana e alcuni dati; nel numero di febbraio 2013 di Popoli il servizio completo.


L’uomo ha sempre selezionato piante e animali favorendo, attraverso una paziente opera d’incroci, varietà vegetali e razze animali con caratteristiche che risultassero convenienti. Questo processo di «domesticazione», che consiste nel far riprodurre quegli individui che in modo già marcato presentano le qualità ricercate, richiede tempi lunghi, dettati dal ritmo naturale delle generazioni. La lunga storia dell’agricoltura e dell’allevamento ha registrato, specie nel secolo scorso, una forte accelerazione grazie all’utilizzo di nuove tecniche agricole. Ma la svolta netta in questo modo di procedere si è avuta con l’applicazione ai vegetali (e agli animali) delle conoscenze biotecnologiche.
Un Organismo geneticamente modificato (Ogm) è un organismo vivente che possiede una combinazione di materiale genetico inedita, ottenuta con l’utilizzo delle biotecnologie. La manipolazione genetica modifica la struttura e le funzioni dell’organismo vivente e lo induce a produrre materiali biologici ad hoc. Le applicazioni possibili spaziano in vari campi: dalla medicina alla cura della salute, dal settore alimentare a quello chimico, dalla zootecnia all’agricoltura. Il nostro interesse è per i vegetali Gm: dunque ne approfondiremo la diffusione, le caratteristiche, le criticità.

SALUTE E AMBIENTE
Mentre la «creazione» in laboratorio del primo Ogm (non vegetale) è datata 1973, i primi vegetali Gm coltivati in campo risalgono al 1996 e si estendevano per 1,7 Mha (milioni di ettari); nel 2011 sono stati seminati 160 Mha con Ogm, il che equivale a un incremento di 94 volte in 15 anni. I Paesi maggiormente coinvolti sono 29, di cui 19 in via di sviluppo e 10 industrializzati. Il tasso di crescita per le colture biotech nei Paesi in via di sviluppo è stato dell’11% nel 2011 rispetto all’anno prima, quasi il doppio rispetto ai Paesi industrializzati (+5%).
Il leader della produzione mondiale di raccolti biotech restano gli Usa, con 69 Mha coltivati; seguono il Brasile (30,3 Mha, +20% rispetto all’anno precedente), l’Argentina (23,7) e l’India (10,6); in questa classifica la Cina è sesta con 3,9 Mha e il Sudafrica nono (2,3) (cfr Tabella pag. 16).
Le piante geneticamente modificate più seminate sono quattro: la soia, con 80 Mha coltivati nel mondo nel 2011; il mais con 50 Mha; il cotone e la colza, rispettivamente con 22 e 10 Mha. Altri Ogm coltivati, ma in appezzamenti notevolmente inferiori (qualche centinaio di migliaia di ettari), sono: barbabietola da zucchero, erba medica, papaya e zucca negli Usa; papaya, pioppo, pomodoro e peperone dolce in Cina; patata in Germania e Svezia.
Le modifiche genetiche introdotte nelle quattro specie più coltivate sono fondamentalmente di tre tipi: la tolleranza agli erbicidi, la resistenza agli insetti infestanti, o contemporaneamente le due modificazioni precedenti. Se in un campo la coltivazione è tollerante a un erbicida, sarà più facile diserbare senza provocare danni di crescita alla pianta; la medesima cosa vale per la resistenza agli insetti infestanti: la coltivazione sarà al sicuro dagli attacchi devastanti anche senza l’utilizzo preventivo di insetticidi.
Come si ottengono questi risultati? Con la tecnologia del Dna ricombinante si introducono nelle cellule vegetali geni estranei che conferiscono alla pianta i tratti desiderati. In questo modo ogni Ogm è «unico» e deve essere esaminato individualmente per accertarne l’innocuità per la salute umana e per l’ambiente. Oggi sono disponibili in commercio 121 varietà Gm di mais, 48 di cotone, 30 di colza e 22 di soia, ciascuna con la valutazione d’impatto da parte del produttore.
Tale valutazione è destinata a essere ripetuta da organismi pubblici prima della definitiva vendita nel Paese interessato. Per quanto riguarda l’Unione europea, l’organismo deputato a operare per la messa in commercio degli Ogm è l’Efsa (Autorità europea sicurezza alimentare): essa stima il rischio ed esprime un parere, ma spetta poi agli Stati membri e alla Commissione europea la decisione finale per la commercializzazione. Gli Ogm oggi sul mercato hanno superato entrambi gli esami e, dunque, allo stato delle conoscenze attuali si possono considerare sicuri per la salute pubblica e per l’alimentazione.
Per quanto riguarda l’ambiente, due sono i nodi critici da superare per evitare la diffusione nel territorio di piante Gm: l’impollinazione con piante equivalenti non transgeniche e la dispersione del seme. Per evitare entrambe potrebbero essere sufficienti adeguate precauzione agricole, ad esempio le ridotte dimensioni degli appezzamenti, la differenziazione delle colture confinanti e la lontananza da luoghi in cui la flora cresce spontaneamente (ad esempio nei boschi). In ogni caso, per evitare l’impollinazione incrociata, le piante Gm vengono normalmente modificate con l’ulteriore caratteristica della «maschio sterilità»: il polline «fuggito» dal campo è sterile, cioè non in grado di fecondare alcuna altra pianta. In definitiva, con le dovute precauzioni, le contaminazioni ambientali involontarie non dovrebbero alterare l’ecosistema più di quanto già non faccia l’agricoltura tradizionale con i suoi semi selezionati e i suoi ibridi.

UNA RISPOSTA ALLA FAME?
La valutazione d’impatto degli Ogm sulla salute umana e sull’ambiente è generalmente alquanto approfondita perché oggetto di ampio dibattito. Viene invece spesso sottaciuto l’aspetto economico e sociale legato alla produzione delle piante transgeniche. Il mercato mondiale globalizzato tende infatti a enfatizzarle e a promuoverle sia presso i produttori sia presso i consumatori. Le sementi Gm sono brevettate e il loro utilizzo porta notevoli introiti alle 18 multinazionali che le sviluppano. Inoltre la caratteristica di essere «maschio sterili» favorisce ulteriormente le facili tentazioni monopolistiche poiché impone ogni anno l’acquisto di nuove sementi.
Le implicazioni economiche e sociali meritano altre due esemplificazioni. Spesso si parla di vegetali Gm in grado di alleviare la fame nel mondo. Anche la Fao si è sentita in dovere di affrontare la questione e qualche anno fa ha stilato un rapporto dal titolo: Biotecnologie agricole: una risposta ai bisogni dei poveri? Attualmente la soluzione a questa impegnativa domanda rimane negativa; potrebbe, al contrario, avere una concreta risposta se fossero prese in considerazione le vere necessità alimentari dei Paesi poveri. Si potrebbero, ad esempio, modificare geneticamente piante come il sorgo, il miglio, l’orzo, il riso, arricchite di nutrienti o capaci di crescere in condizioni climatiche e di terreno avverse. Se questo non accade è perché le piante Gm sono principalmente studiate secondo la logica del profitto economico dei Paesi sviluppati.
La stessa motivazione vale per un secondo esempio. Una delle frontiere più promettenti e meno indagate degli Ogm è la possibilità di far produrre alle piante vari tipi di vaccini. L’eventuale progresso in questo campo scientifico, con la concomitante rinuncia al brevetto, potrebbero aprire scenari insperati per i Paesi poveri: milioni di persone potrebbero avere facile accesso a migliori condizioni sanitarie.
Per orientare l’uso delle piante Gm verso un reale bene comune appare indispensabile che esse siano integrate in un programma completo di ricerca e sviluppo agricolo mondiale e che esso ottenga la dovuta attenzione, anche finanziaria. La salute e l’ambiente potranno ricevere maggiore cura quanto più gli enti pubblici si consorzieranno tra loro con la capacità propositiva della ricerca mirata e finalizzata. La società stessa dovrà assumersi la responsabilità di partecipare alla definizione degli obiettivi della ricerca, delle priorità, delle applicazioni e della ripartizione dei vantaggi che ne derivano. Perché tutto ciò possa accadere è indispensabile una riflessione pacata, ma lontana da ogni approccio venale. 

Paolo Fontana
Sacerdote, docente di Bioetica al Seminario teologico del Pime di Monza

© FCSF – Popoli