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Addio a Mandela, il leader che sconfisse l’apartheid
6 dicembre 2013
Avvocato, leader politico, primo presidente nero del Sudafrica, Nelson Mandela è morto ieri all'età di 95 anni. Da tempo si era ritirato dalla vita politica attiva ed era diventato un'icona vivente della lotta anti-apartheid (sebbene qualcuno, alla luce delle difficoltà attuali del Sudafrica, metta in discussione la "sacralità" della figura di Madiba).

Mandela nasce nel 1918 in una famiglia nobile di etnia xhosa in un villaggio del Sud-Est del Sudafrica. Dopo gli studi in un collegio cattolico, decide di intraprendere gli studi in legge. Proprio all'università inizia a schierarsi contro le politiche segregazioniste del governo bianco di Pretoria. Unitosi all’African National Congress (Anc) nel 1942, due anni dopo fonda l’associazione giovanile Youth League, insieme a Walter Sisulu, Oliver Tambo e altri. Nei primi anni della sua carriera politica (siamo negli anni Cinquanta), Mandela, come molti suoi compagni, accetta il principio della lotta violenta come mezzo per liberare le popolazioni oppresse. Nel 1961 diventa il comandante dell’ala armata Umkhonto we Sizwe dell’Anc («Lancia della nazione»), della quale è co-fondatore.

Allo stesso tempo, però, Mandela si batte sul piano giuridico, offrendo i servizi legali ai più poveri, per contrastare le ingiustizie crescenti di un regime bianco che fa della segregazione la sua ragione d'essere. Proprio il regime non può tollerare una figura ingombrante come la sua. Nel 1964 viene arrestato e condannato all’ergastolo per il coinvolgimento nell’organizzazione di azione armata, in particolare di sabotaggio (del cui reato Mandela si dichiara colpevole) e la cospirazione per aver cercato di aiutare gli altri Paesi a invadere il Sudafrica (reato del quale Mandela si dichiara invece non colpevole). Rimarrà in carcere per 27 anni (la prigione di Robben Island in cui fu detenuto per 18 anni è stato ora trasformata in un museo).

A dispetto della volontà del regime di isolare Mandela, la sua figura diventa un'icona contro le discriminazioni razziali. Politici, sportivi, cantanti europei e nordamericani ne richiedono a più riprese il rilascio. Pretoria non cede. Il Sudafrica di allora, ufficialmente isolato nel contesto internazionale, è però un pilastro della politica occidentale di contrasto dell’espansionismo sovietico nell’Africa australe. Non è un caso che la sua liberazione segua di pochi mesi il crollo del Muro di Berlino.

Le trattative che portano alla legalizzazione dell’Anc e a libere elezioni sono particolarmente lunghe. La comunità bianca che ha, per lungo tempo, governato con pugno di ferro il Paese teme «un bagno di sangue». Mandela conscio delle tensioni che attraversano la comunità bianca e quella nera (che in alcune frange estremiste cova il desiderio di una vendetta violenta), si trasforma in un garante della pace sociale. Abbracciate, negli anni della prigionia, le dottrine non violente, chiede ai bianchi di cedere le leve politiche, assicurando loro il diritto a mantenere quelle economiche (le immense risorse minerarie sudafricane erano e, in larga parte sono ancora, in mano a bianchi).

Eletto presidente nel 1994 (memorabile il suo discorso di insediamento), lavorerà alla riconciliazione insieme a personalità quali il vescovo Desmond Tutu, alla riconciliazione. Il suo capolavoro è indubbiamente la Commissione verità e riconciliazione  nella quale si assicura l’immunità a chi aveva commesso reati razziali se si rendeva disponibile a confessarli pubblicamente di fronte alla vittime. Scaduto il mandato si ritira a vita privata dedicandosi alle attività benefiche portate avanti dalla sua fondazione, in particolare la diffusione dell’istruzione che Mandela ha sempre considerato leva essenziale per il riscatto delle popolazioni nere.

I presidenti che gli sono succeduti, sia Thabo Mbeki sia Jacob Zuma, non sono parsi essere all’altezza di Madiba (il suo nome famigliare). Oggi il Sudafrica è un Paese con forti disparità economiche. Sebbene il reddito pro capite sia tra i più alti del continente (7.158 dollari Usa), circa il 40% della popolazione vive ancora con meno di due dollari al giorno. Il Sudafrica è al 116° posto, su 124 nazioni, nella classifica degli Stati per uguaglianza nella distribuzione del reddito.

Spetterà alla nuova generazione nata dopo l’apartheid (a breve inizieranno a uscire dalle università i ragazzi cresciuti dopo la fine del regime segregazionista) risolvere le contraddizioni del Paese. Già oggi si stanno affacciando alla politica nuovi protagonisti slegati dalla retorica (abusata dagli attuali leader dell’Anc) della lotta contro l’apartheid e più propensi a costruire un futuro in comune tra neri e bianchi. Nello spirito della «nazione arcobaleno» auspicato proprio da Nelson Mandela.
Enrico Casale


Per approfondire la figura umana e politica di Nelson Mandela e le dinamiche socio-economiche del Sudafrica post-apartheid può essere utile leggere anche gli articoli apparsi negli ultimi anni su Aggiornamenti Sociali, l'altro mensile della Fondazione Culturale San Fedele:

- Nelson Mandela, dalla lotta al dialogo, dicembre 2013
- Il nuovo Sudafrica - Una trasformazione a geometria variabile, maggio 2005
- Verità e riconciliazione nel Sudafrica del dopo-apartheid, settembre - ottobre 2002
- La crisi del Sud Africa, aprile 1986

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