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Mandela, oltre l’icona
Quando si parla di Nelson Mandela, il rispetto e l’onore che gli vengono tributati danno l’impressione che si stia parlando di un’icona. È stato ed è ancora molto ammirato in tutto il mondo. Sono state scritte biografie che ne hanno evidenziato la grandezza. Per alcuni la sua ispirazione è quasi divina. Ma quale rapporto c’è tra Mandela e la comunità dei neri da cui proviene?

PIÙ TATTICA CHE PRINCIPI
Mandela
più che un uomo di principi è stato una persona pragmatica. Spesso descritto come una persona legata ai valori della pace, ha avuto un rapporto particolare con la non violenza. Quando era giovane ha infatti sostenuto la lotta armata, con il passare degli anni però si è fatto paladino della riconciliazione pacifica. Questo atteggiamento fa intendere come lui non abbia mai difeso la pace come valore assoluto. Per lui, piuttosto, era questione di strategia, cioè della necessità di trovare un mezzo per raggiungere il risultato prefissato. Nelle sue memorie Mandela riconosce che l’utilizzo di metodi pacifici o violenti dipende unicamente dalle condizioni prevalenti in quel momento. Quando era necessario lottare, la guerra era giustificata. Quando era necessario parlare di pace, la pace era giustificata e si pagava il prezzo della pace allo stesso modo in cui si pagava il prezzo della guerra. Agli inizi degli anni Ottanta, quando lo scontro tra i neri e il sistema dell’apartheid si era fatto più violento e i suoi compagni dell’Anc erano ancora in guerra, Mandela cominciò a discutere con i leader bianchi.

Questo approccio, volto a trovare il vantaggio tattico in ogni cosa, ha riguardato anche le sue convinzioni religiose. Tuttavia, dire che Mandela sia stato un religioso pragmatico sarebbe fuorviante. Come per altri africani, per lui il cristianesimo è sia un’espressione del colonialismo europeo sia un veicolo di emancipazione per gli africani oppressi, soprattutto attraverso le opportunità formative che le numerose scuole religiose offrivano. Come la maggior parte dei leader africani dell’epoca, Mandela fu educato da missionari; pertanto vide la fede come una forza liberatrice. Però era anche un bambino allevato in una famiglia legata ai culti tradizionali africani. Visse quindi l’esperienza di queste religioni. Non sorprende perciò che la sua posizione sulla fede sia sempre stata di prudente distacco.

Da questo atteggiamento non sono stati immuni il suo pensiero e la sua azione politica. La collaborazione tra Anc e altri raggruppamenti di diverse etnie e culture - come il South African Indian Congress, il Coloured People’s Congress, il Partito comunista e altri gruppi, alcuni dei quali bianchi - fece sì che Madiba (il nome con cui si riferiscono a lui i membri del suo clan) diventasse più aperto e sensibile verso i punti di vista altrui. Questa sensibilità, in certi momenti della sua vita, è diventata motivo di conflitto, proprio perché in più di una occasione è stato accusato di avere troppo a cuore le paure e le sensibilità degli altri a discapito delle aspirazioni degli africani oppressi per i quali avrebbe dovuto lottare.

Alla fine degli anni Cinquanta, quando lui e Oliver Tambo viaggiavano per l’Africa alla ricerca di fondi per la lotta armata, uno dei problemi che si presentavano era se l’Anc fosse troppo infiltrata dai bianchi e da altre organizzazioni, specialmente i comunisti, e se queste formazioni stessero prendendo il comando. L’Anc fu costretta a lanciare campagne propagandistiche per riaffermare la sua identità di organizzazione nazionalista africana anche per contrastare l’emergente Pan Africanist Congress, che aveva organizzato le grandi dimostrazioni che avevano portato al massacro di Sharpeville (21 marzo 1960). Il fantasma del compromesso a spese delle popolazioni più povere ha inseguito Mandela per tutta la vita e rispunta tutte le volte che si guardano i rapporti di Mandela con le comunità nere.

Nel marzo 2010, in un’intervista rilasciata alla giornalista Nadira Naipaul, Winnie, la ex moglie di Mandela, ha parlato di quelli che considerava gli insuccessi di Madiba. In primo luogo, lo accusava di non aver fatto gli interessi dei neri durante le trattative con il governo dell’apartheid escludendo le popolazioni autoctone dal potere economico. Poi, esprimeva insoddisfazione per il fatto che Mandela fosse diventato una sorta di azienda più che un uomo in carne e ossa, e gli stessi figli, quando volevano vederlo, dovevano seguire un lungo iter burocratico.

Il 12 giugno 2012 il Sowetan, un quotidiano letto prevalentemente da neri, riferiva che Amukelani Ngobeni, presidente della Lega giovanile dell’organizzazione del popolo azanian (Azapo), aveva diffuso una nota che invitava Mandela a scusarsi con la nazione per aver tradito la lotta dei neri. Costui accusava Mandela di aver negoziato una Costituzione che rendeva impossibile realizzare le aspirazioni dei neri.

Il 18 luglio 2012, il giorno del compleanno di Mandela, il notiziario online News 24.com pubblicava la lettera di una persona che si definiva un «giovane nero». Nel testo accusava Madiba di aver tradito i neri. La critica maggiore si basava sulla presunta incapacità di trattare con il potere economico. Egli veniva attaccato per non aver saputo rivendicare la restituzione della terra alle popolazioni autoctone. Il «giovane nero» citava uno studio (M. Leibbrandt, Trends in South African Income Distribution and Poverty since the Fall of Apartheid, 2010) nel quale si confrontava la spesa pro capite di bianchi e neri e sosteneva che «nel 1995 la spesa media pro capite dei neri era di 333 rand al mese contro i 3.433 dei bianchi. Nel 2008 la spesa media pro capite dei neri era di 454 rand al mese contro i 5.668 dei bianchi». Mandela, concludeva l’autore della lettera, è stato considerato come un «Gesù nero», però di fatto ha fallito proprio con i neri. Il 29 luglio 2012, Sam Ditshego, eminente studioso del Pan Africanist Research Institute, parte del Pan Africanist Congress, dava ragione al «giovane».

L’UOMO E LO STATISTA
È facile liquidare
queste opinioni come sentimenti di una ex moglie risentita e di avversari politici radicali. La realtà è che molti sudafricani non esprimono queste opinioni pubblicamente, ma le condividono. Un gran numero di persone nelle comunità nere ritiene che la classe dirigente dell’Anc abbia fallito nel correggere squilibri e ingiustizie dell’apartheid. C’è una crescente inquietudine tra i milioni di poveri che vedono piccoli gruppi di privilegiati arricchirsi mentre loro rimangono intrappolati nella povertà. Molti sostengono anche che Mandela e l’Anc abbiano fallito nel gestire la questione della redistribuzione della terra, che è ancora sostanzialmente in mano ai bianchi. Anche se questo malcontento è rivolto più alla dirigenza dell’Anc che a Mandela.

La componente razzista della comunità bianca disprezza Madiba come qualunque altro nero. I bianchi però lo hanno sempre considerato come l’unico leader nero accettabile. Non è un caso che, nei primi anni della sua presidenza, i bianchi entrassero in fibrillazione ogni volta che si pensava che fosse malato o stesse per morire. Tra i neri c’è chi crede che Madiba stesso sia la causa di questo atteggiamento, con il suo persistere nel rassicurare i bianchi oltre il dovuto. Persino alcune tra le persone a lui più vicine hanno perplessità sul ruolo giocato da Mandela nell’emancipazione economica dei neri.

In realtà, Madiba l’icona, il mito, il gigante, lo statista oscura completamente il Mandela capo di un popolo che vive ancora in povertà 19 anni dopo che lui e l’Anc hanno preso il potere. L’uomo magnanimo e padre della nazione oscura il Mandela padre che non ha mai veramente allevato nessuno dei suoi molti figli e si è sposato tre volte, abbandonando le tre mogli. Il grande difensore dei valori democratici oscura il principe di una famiglia reale, quella dei thembu, che appoggiava il potere antidemocratico dei capi tradizionali.

Ciò non significa che egli non sia un grande uomo. Significa semplicemente che Mandela, come molti altri grandi della storia, è una persona piena di difetti. Quello che fa di lui un grande uomo è l’essere riuscito a esprimere ciò che è giusto e buono, malgrado i suoi limiti. Per molti, all’interno della comunità nera, non è lo statista, ma il padre e il nonno che si rispetta e al quale si vuole bene. È uno dei capi di un movimento di liberazione, ma non necessariamente il più grande. È il primo presidente nero del Sudafrica e molti sono fieri di lui, malgrado si lamentino di essere ancora poveri. È il simbolo dell’unità e della riconciliazione che si possono raggiungere dopo una lunga e difficile lotta per la libertà e che rende tanti orgogliosi di lui e ispirati da lui.

Nel 1999, quando il suo mandato presidenziale si concluse, il leader di uno dei partiti politici dell’epoca esclamò che, ora che Mandela andava in pensione, sarebbe finalmente stato possibile fare davvero politica. Intendeva dire che era stato difficile per chiunque criticare le decisioni di Mandela. Chi osava farlo era guardato come un folle! Non perché Mandela non potesse fare cose sbagliate. Era semplicemente perché nessuno si alzava in pubblico a criticare un padre della nazione considerato alla stregua di un messia.
Morare Matsepane SJ



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