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Assisi, 25 anni dopo: riflettere e pregare
29 settembre 2011

Il prossimo 27 ottobre rappresentanti di tutte le religioni del mondo (e non credenti) si riuniscono nella città di Francesco, 25 anni dopo l’incontro voluto da Giovanni Paolo II. Facendoci guidare dai ricordi di chi partecipò alla giornata del 1986, abbiamo cercato di capire perché è stata definita «storica» da molti e aspramente criticata da alcuni. E in che cosa l'Assisi di Benedetto XVI sarà diversa. L’editoriale del numero di ottobre di Popoli e alcune anticipazioni del nostro servizio speciale.

Editoriale - Riflettere e pregare

La Giornata mondiale di preghiera per la pace di Assisi del 1986 non fu ritenuta indenne dai pericoli di relativismo e sincretismo. Questi, in realtà, sono sempre presenti nel cammino della Chiesa, ed essa non ne ha mai avuto paura. Temerli significa cedere alla tentazione di arroccarsi in blindature ermetiche e identitarie, che - in ultima analisi - rivelano la volontà di non dialogare affatto.

Le parole pronunciate da Giovanni Paolo II durante l’incontro di Assisi sgombrarono comunque il campo dagli equivoci: «Il fatto che siamo venuti qui non implica nessuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa che le religioni possono riconciliarsi sul piano del comune impegno in un progetto terreno che le sorpasserebbe tutte. Né esso è una concessione a un relativismo nelle credenze religiose, perché ogni essere umano deve sinceramente seguire la sua retta coscienza nel cercare di obbedire alla verità».

Eppure, venticinque anni dopo, in vista della commemorazione di quell’evento che si svolgerà il prossimo 27 ottobre, sono riemerse perplessità simili, sempre centrate sul binomio relativismo-sincretismo. È forse per arginare questi timori che si sono stabilite modalità di svolgimento della giornata significativamente diverse da quelle del 1986. Le illustra bene Luigi Accattoli all’interno dell’ampio servizio pubblicato in questo numero. In sintesi non si tratterà tanto di una giornata di preghiera - per la quale non sono previsti momenti pubblici -, quanto anzitutto di riflessione, termine non utilizzato nel 1986 e che ora invece compare nel titolo della Giornata.

Questa scelta ha un indubbio vantaggio: consentire un più ampio coinvolgimento, fino a comprendere anche chi non professa nessuna credenza religiosa. L’accento si sposta cioè sulla dimensione culturale del dialogo e della ricerca della pace.

Tuttavia, il credente ha la consapevolezza che la propria riflessione non è mai solo un esercizio speculativo e che essa deve essere arricchita dalla preghiera, ovvero guidata dall’azione dello Spirito. A maggior ragione, senza la preghiera non si può avere la pace: «Ogni preghiera autentica - ricordava papa Wojtyla dopo l’evento del 1986, rivolgendosi alla Curia romana - si trova sotto l’influsso dello Spirito Santo. (...) Ad Assisi si è vista l’unità che proviene dal fatto che ogni uomo e donna sono capaci di pregare. (...) La pace è un dono di Dio e bisogna impetrarla da Lui mediante la preghiera di tutti».

Non vorremmo allora che la scelta di privilegiare la dimensione interculturale finisse con il depotenziare quegli aspetti di dialogo spirituale e di comunione tra le fedi che furono una delle più belle eredità della storica Giornata di venticinque anni fa.

Popoli

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