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Quei paradisi senza santi (né tasse)
La crisi economica ha rivitalizzato i paradisi fiscali, cassaforti sicure per capitali in fuga. Alcuni di questi centri offshore si trovano in Paesi del Sud del mondo. Ma l’afflusso di capitali non tassati sottrae, ogni anno, alle popolazioni locali almeno 125 miliardi di euro di entrate fiscali. Molto più di quanto ricevono in aiuti umanitari.
Fascicolo: 
ottobre 2011
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Deserto e ribellione nel blues dei tuareg
Popolo diviso tra più Paesi, quello degli «uomini blu» esprime (anche) attraverso la musica il proprio desiderio di libertà e di indipendenza. Di seguito l'articolo pubblicato sul numero di aprile 2010 di Popoli.

C’è stato un tempo in cui imbracciavano contemporaneamente il kalashnikov e la chitarra elettrica. Sono il gruppo tuareg Tinariwen, fondato da Ibrahim Ag Alhabib, nomade del Mali, cresciuto negli anni Settanta nei campi profughi di Tamanrasset (Algeria) e formatosi in seguito nelle milizie di Gheddafi. Il colonnello libico si proponeva allora di creare un esercito del Sahara composto dai migliori giovani tuareg e, attraverso la musica e la composizione di motivi ispirati alla ribellione e all’indipendenza del popolo del deserto, volle montare, insieme ad Alhabib e soci, una macchina di propaganda che viaggiasse di campo in campo e di comunità in comunità mediante cassette registrate.
Insofferenti a questa strumentalizzazione della causa tuareg, Alhabib e i suoi compagni decisero di diventare musicisti a tempo pieno e, alla fine degli anni Ottanta, alcuni di loro lasciarono la Libia alla volta del natio Mali. Inizialmente noti solo nella comunità nomade sahariana, a partire dal 1996 i Tinariwen (che in lingua tamashek significa «deserti» ed è il plurale di ténéré) iniziarono a farsi notare anche fuori dal continente africano. La loro è una musica che si può, a buon diritto, definire di «resistenza». La resistenza di un popolo senza confini e nazionalità, che veicola un messaggio di libertà e indipendenza. Influenzato dal rock occidentale, così come dalle sonorità popolari del Maghreb, Ibrahim Ag Alhabib si è avvicinato alla musica proprio attraverso la chitarra, facendone uno strumento dal suono peculiare, la vera cifra stilistica del suo gruppo.
Gli aspetti certamente più originali dei Tinariwen sono comunque la personalità carismatica di Ibrahim e l’assouf, lo stile musicale tuareg fatto di chitarra blues, basso, percussioni e vocalizzi tradizionali (nella formazione c’è anche una donna, Mina Walet Oumar, la voce del gruppo). I Tinariwen sono ormai star internazionali: si sono esibiti in tutti i continenti, hanno realizzato dischi, partecipato a festival e vinto premi prestigiosi. Sono anche diventati soggetti di documentari e servizi televisivi. Il loro ultimo lavoro, osannato dalla critica europea, è Imidiwan («I compagni»), uscito nel 2009, di cui il brano Lulla rappresenta le vibrazioni sonore prodotte da questi bluesmen del deserto.
Maestri nel loro genere, i Tinariwen mettono un po’ nell’ombra gli altri gruppi tuareg, meno noti e, probabilmente, anche meno innovativi. Tra questi, i Tartit, una band tradizionale composta da cinque donne e quattro uomini appartenenti a Kel Antessar, una delle tre confederazioni in cui sono organizzati tradizionalmente i tuareg. I Tartit, che sono nati nel 1995 in un campo profughi del Burkina Faso, cantano l’amore e la pace, ma anche la guerra e l’esilio, principalmente avvalendosi di voce e percussioni. Il loro ultimo cd è Abacabok, inciso nel 2006.
È impegnato politicamente nella rivendicazione dell’identità tuareg anche Abdallah Oumbadougou, originario del Niger. Virtuoso della chitarra ed esiliato all’estero come Alhabib, Oumbadougou suona con il gruppo Takrist N’Akal. Uno dei loro lavori più significativi è Desert rebel del 2007, a cui è abbinato un dvd sulla vita dei nomadi del deserto.
E, infine, ci sono gli Oyiwane, nigerini di Agadez, un gruppo che miscela percussioni, voci femminili e chitarra elettrica. Il loro ultimo lavoro è Sahara, album uscito nel 2005 per la casa discografica francese Harmonia Mundi.
Alessandra Abbona
Data: 
23 settembre 2011
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Italiani in Tunisia, una storia secolare
La comunità italiana in Tunisia è molto antica. I primi italiani ad arrivare sulle coste tunisine furono i genovesi che nel XVI secolo occuparono l’isola di Tabarca. Sempre nel XVI secolo arrivò a Tunisi una comunità di ebrei livornesi, che diede vita a scambi commerciali fra Nord Africa, Francia e Italia. Ma è verso la metà del XIX secolo che la comunità italiana si ingrandisce. Ad arrivare in Tunisia sono soprattutto siciliani che emigrano per cercare fortuna in Africa. Solo con l’arrivo dei francesi, che nel 1881 instaurano un protettorato sulla Tunisia, l’afflusso di italiani rallenta. Anche perché Parigi non vede bene la presenza di una forte comunità italiana, possibile testa di ponte per le aspirazioni di Roma sulla Tunisia. Nonostante questa battuta d’arresto, secondo il censimento francese nel 1926 erano presenti in Tunisia 173mila stranieri, dei quali 89mila italiani (quasi il 10% della popolazione), 71mila francesi e ottomila maltesi.

Mussolini aiuta in modo massiccio la comunità italiana finanziando scuole, ospedali, organizzazioni assistenziali. E molti italo-tunisini rispondono aderendo con entusiasmo al fascismo. Con la sconfitta dell’Asse nel 1943 inizia però il declino. De Gaulle fa chiudere scuole, centri culturali e giornali italiani. Con l’avvento dell’indipendenza, molti italo-tunisini si trasferiscono in Italia, altri in Francia, dove vengono assimilati ai francesi fuggiti dall’Algeria. Attualmente la comunità italiana conta circa tremila persone, delle quali però soltanto 900 sono discendenti degli immigrati italiani arrivati nel XIX secolo.

Alcuni esponenti della comunità italo-tunisina sono diventati molto famosi in Italia e all’estero. La più celebre è certamente l’attrice Claudia Cardinale, figlia di immigrati siciliani, e protagonista di alcuni film che sono entrati nella storia del cinema. Italo-tunisini sono anche l’attrice Sandra Milo, il tennista Nicola Pietrangeli e Maurizio Valenzi, sindaco di Napoli dal 1975 al 1983.
e.c.
Data: 
21 settembre 2011
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Un pezzo d’Italia a Tunisi: "Ora c’è pluralismo"
La «rivoluzione dei gelsomini» ha portato maggiore pluralismo e democrazia. La speranza è che ora non prevalga il fondamentalismo. A quasi un anno dall’inizio della rivolta, è questa l’analisi di Elia Finzi, direttore de Il Corriere di Tunisi, storica testata tunisina in lingua italiana.

Data: 
21 settembre 2011
Tag: 
Libia, il massacro silenzioso dei tuareg
Gli “uomini blu”, fuggiti negli anni passati dal Niger, sono stati arruolati nell’esercito di Gheddafi e a centinaia sono morti per difendere il rais. Ora le loro famiglie sono rientrate ad Agadez dove vivono in povertà in campi di accoglienza allestiti dal governo nigerino.

Data: 
20 settembre 2011
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Tuareg, un popolo in lotta contro la povertà
Abitare in un territorio ricchissimo, ma in estrema povertà. È questo il paradosso che vivono i tuareg in Niger. «Da secoli - spiega Moussa Annour, esponente della comunità tuareg in Italia - i tuareg abitano le regioni settentrionali del Niger. Le loro carovane attraversavano il deserto commerciando e cercando pascoli per il loro bestiame. In anni recenti, però, questo modello è entrato in crisi. Le ricorrenti siccità hanno ridotto i pascoli e quindi molti tuareg si sono sedentarizzati». Molti di loro, per riuscire a sopravvivere, si sono trasferiti nelle periferie della città, dove si arrangiano con piccoli lavoretti. «La maggior parte - continua Annour - vive in estrema povertà sognando di poter tornare nel deserto con le loro famiglie e le loro carovane».

È la povertà che li ha portati a ribellarsi negli anni Settanta e poi ancora nel 1995 e nel 2006. «Queste rivolte - osserva Elhadji Oubana, meglio conosciuto come Haddo, nigerino, presidente della Ong Mondo tuareg e responsabile della comunità tuareg in Italia - non sono mai state organizzate per chiedere una secessione, ma solo migliori condizioni di vita. Anche perché i tuareg abitano in regioni ricchissime di uranio, i cui proventi non sono mai stati reinvestiti in loco, ma sono andati ad arricchire i politici di Niamey».

La speranza ora arriva dal nuovo clima politico che si respira in Niger. Caduto l’ex presidente Tadja, le elezioni che si sono tenute ad aprile hanno portato al potere Mahamadou Issoufou, che ha promesso una svolta democratica. «Il nuovo governo - osserva Moussa Annour - ha promesso una maggiore decentralizzazione del potere. Già oggi il governatore della regione di Agadez e il sindaco di Agadez sono tuareg. È la prima volta che avviene dalla nascita del Niger nel 1960». Alcuni osservatori sostengono che ci sia il pericolo della diffusione del fondamentalismo islamico tra i tuareg e gli stessi “uomini blu” non escludono questo rischio, anche se ritengono che, per il momento, l’influenza integralista non è ancora così profonda. «Noi siamo musulmani - osserva Haddo -, ma nel nostro popolo è sempre prevalsa l’identità culturale su quella religiosa. Ed è così ancora adesso. Il rischio che si diffonda il fondamentalismo però c’è. Molti nostri giovani senza lavoro e senza futuro potrebbero farsi “corrompere” dalle promesse dei movimenti integralisti islamici che iniziano a diffondersi tra la popolazione araba del deserto. Se la giovane democrazia nigerina saprà redistribuire le ricchezze del Paese, riusciremo a evitare questo rischio».
e.c.
Data: 
20 settembre 2011
Tag: 
Tutti gli (ex) amici africani di Gheddafi
Nei 42 anni in cui ha governato la Libia, il qaid (la Guida) ha stretto rapporti politici ed economici con molti Paesi dell’Africa subsahariana. E, negli ultimi giorni, si rincorrono le voci di un possibile esilio in uno di questi Stati.
Ma chi sarebbe disposto ad accoglierlo? E chi invece gli ha voltato le spalle?

Data: 
9 settembre 2011
Tag: 
Le mille vite di Gheddafi

Angelo del Boca è probabilmente il più attento studioso della figura del leader libico. A lui abbiamo chiesto di aiutarci a ricostruire la biografia di un personaggio complesso. «È stato certamente un dittatore, un criminale - spiega lo storico italiano -, ma anche una figura dalla forte personalità. E senza di lui la Libia non esisterebbe come Stato e come nazione».

Data: 
26 agosto 2011
Tag: 
Libia, le incognite del dopo Gheddafi

Quali scenari si aprono con la caduta di Gheddafi? La Libia diventerà un «santuario» dell’islam radicale? O sarà, al contrario, un esempio di democrazia nordafricana? E quali rapporti si instaureranno con l’Italia?
Popoli.info
ne ha parlato con un esperto di questioni internazionali.


Data: 
23 agosto 2011
Tag: 
Lotta all’Aids, la crisi prosciuga i fondi
I tagli ai bilanci statali imposti dalla crisi stanno colpendo i programmi pubblici di cura e prevenzione dal virus nei Paesi in via di sviluppo. L’allarme delle Ong, compresa quella dei gesuiti.

Data: 
21 luglio 2011
Tag: 
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